Il viaggio del giovane Ali dal Mali a casa di Ester

“La prima cosa che mi ha colpito di questa casa, è stato il giardino. Mi piace la natura, anche se vengo da un Paese dove c’è tanto deserto”. Quando ad Ali è stato proposto di andare a vivere con Ester a Campagnano, alle porte di Roma, non ha avuto alcuna esitazione, nonostante la difficoltà degli spostamenti. L’idea di vivere in un posto tranquillo, in campagna, lontano dal caos della capitale,  ben si adatta alla sua indole riservata: poche parole, sguardo serio. Rari, ma larghi sorrisi. 

“Da quando è qui, ormai è lui che si occupa del giardino”, interviene Ester. “La mattina non faccio in tempo ad alzarmi che lui ha già annaffiato le piante. Gli piace anche cucinare e la sera, quando faccio tardi, mi fa trovare il piatto pronto. Fa molte più cose di me, in casa”, continua ridendo.

A soli 19 anni Ali ha quella maturità di chi ne ha viste già tante. Ancora minorenne, a 14 anni, ha abbandonato il nord del Mali, all’epoca caduto in una spirale di violenza e dove, ancora  oggi, persiste una situazione di conflitto a bassa intensità fra il governo centrale e le milizie islamiche di Al Qaida nel Sahel. “Quando i miliziani hanno iniziato a imporre la legge islamica e a costringere i ragazzi della zona ad unirsi alla guerriglia, ho capito che era arrivato il momento di andare via”.

Da lì Ali ha iniziato il viaggio che lo ha portato prima in Algeria e poi in Libia. “Arrivato a Tripoli, ho lavorato un po’. La situazione ha iniziato a diventare pericolosa. Un giorno mi hanno fermato per strada e portato in un centro di detenzione per otto mesi. Lì funziona così, chiedono un riscatto alla tua famiglia e se non ti procuri il denaro, sei in trappola. Io purtroppo non avevo né denaro mio, né qualcuno che potesse pagare per me”, racconta con sguardo chino, mentre si accarezza alcune cicatrici che ha sul braccio.

“Ad un certo punto sono riuscito a scappare e  salire su un barcone. La traversata è stata difficile, ma per fortuna una nave italiana ci ha soccorso e portato in Sicilia”.

Dall’isola Ali è stato trasferito prima in un centro per minori e poi in uno per adulti. Qui ha conosciuto Daniela, “la maestra”, come lui la chiama, che lo ha incoraggiato, assieme ad altri ragazzi, a realizzare un libro di disegni. “Aiwa” è il titolo del volume; contiene due belle illustrazioni realizzate da Ali, che ama disegnare volti e luoghi del suo Mali.

Come per tanti altri ragazzi, anche per Ali, che nel frattempo ha ottenuto la protezione sussidiaria, arriva il momento di dover lasciare il centro di accoglienza: una fase di passaggio complicata, che rischia di tradursi in un salto nel vuoto per chi, e sono la maggior parte, non è ancora riuscito a costruirsi una propria indipendenza.  La “maestra” Daniela lo iscrive sul sito di Refugees Welcome Italia, e per per il ragazzo arriva, fortunatamente, la possibilità di andare a vivere con Ester, una signora di origine tedesca, da tempo trapiantata in Italia.

“Avevo paura di lasciare il centro e di ritrovarmi da solo. Grazie ad Ester sto imparando tante cose. Questa esperienza mi aiuta ad integrarmi nella società. Vorrei avere il tempo di imparare un lavoro, come quello di saldatore”.

Ma cosa  porta una persona ad aprire le porte di casa ad un rifugiato? “A spingermi è stato il senso di gratitudine verso quello che ho avuto nella mia  vita. Per me è un modo per restituire qualcosa indietro. La prima volta che l’ho incontrato, Ali era molto serio, forse intimidito. Ma poi mi ha sorriso e abbiamo rotto il ghiaccio. È una persona con profondo rispetto per gli altri. La convivenza sta andando benissimo, è più semplice di quanto credessi”, racconta Ester.

Nessun dubbio, paura, ripensamento? “All’inizio avevo solo timore di come avrebbe reagito la gente attorno a me, in paese, ma fino ad ora è andato tutto bene. I miei amici e la mia famiglia mi hanno sempre sostenuto in questa scelta: a breve mia madre verrà a trovarmi e non vede l’ora di conoscere Ali”.

 

Condividi: