Mamadou viaggia da sei anni. Ha poco più di vent’anni e non si è mai fermato.
Il viaggio l’ha portato in Italia.
Ogni giorno viaggiava per andare al lavoro a Settimo Torinese. Ogni giorno viaggiava per tornare ad Avigliana, in famiglia, a casa da Matteo, Francesca e Zena.
“Qui ho trovato una nuova famiglia, una nuova casa”, racconta Mamadou quando gli chiedono che cosa rappresenti questa convivenza. Ma ironia della sorte, nella sua casa, nella sua nuova casa oggi deve trascorrere tutto il suo tempo, a causa delle restrizioni contro la diffusione del Coronavirus.
Attraverso gli occhi di Mamadou, le giornate sono i video su TikTok, un po’ di noia, Matteo che si mette alla scrivania, Francesca che entra e esce per andare al lavoro. E il suo studio. Attraverso i suoi occhi Mamadou sta cercando di decodificare l’Italiano un po’ contorto del codice della strada e dei quiz per l’esame teorico di guida. Perché il sogno di Mamadou è prendere la patente.
Mamadou, Francesca e Matteo sono i protagonisti del secondo capitolo di Through my eyes,
Through My Eyes è il progetto video basato sulla metodologia partecipativa, finanziato nell’ambito del bando Frame, Voice Report dell’Unione Europea e promosso da Refugees Welcome.
Il periodo del lockdown è una specie di post scriptum a quanto raccontato in prima persona da Mamadou nel periodo nel quale ha guardato il mondo attraverso la sua telecamera, insieme a Francesca e Matteo, grazie alla supervisione della regista Beatrice Surano. Mamadou, Matteo e Francesca con Through My Eyes hanno lasciato tracce dell’inverno ad Avigliana, delle feste di Natale, del desiderio di Mamadou di poter mettersi al volante di una macchina. Perché per chi non si è mai fermato, per chi viaggia da sempre, quel documento non è affatto un punto di arrivo, ma un punto di partenza. In tutti i sensi.
Poi è arrivato il virus e tutto è cambiato. Anche quelle immagini tra gli spazi aperti della Valsusa, i giochi con l’amica Zena: la coinquilina a quattro zampe, una splendida meticcia che Mamadou coccola col cibo, tutto resta impresso nel video e resterà come memoria di un tempo e di abitudini che appaiono anche più lontane di quanto lo siano in realtà in senso strettamente cronologico.
Ma a volte, si sa, il tempo viaggia fuori sincrono rispetto al calendario.
E così il racconto dei tre giovani tra i 20 e i trent’anni raccolti in settanta metri quadrati, tre stanze e tante esperienze precedenti è il secondo atto di Through My Eyes. Prende il testimone (e la videocamera) da Abdullahi e prosegue il viaggio del video partecipativo, aggiungendo tanti occhi a quelli già portati a bordo.
Perché se ogni persona è una storia, l’accumulo di storie è molto più di un documentario, un video o immagini impresse. È memoria di un tempo. È un racconto nato attraverso i loro occhi per arrivare ai nostri. E lì restare.