Salvare vite è un imperativo, che sia a terra o in mare.
Nelle ultime settimane si sono susseguite notizie di imbarcazioni alla deriva nel Mediterraneo. A metà aprile, Alarm Phone, il centralino che riceve messaggi di allerta dal Mediterraneo, ha dato la notizia di quattro imbarcazioni in panne con un totale di circa 250 persone a bordo, senza che ci fossero mezzi civili o militari pronti ad aiutarle. Attorno al 20 aprile, un gommone, che si trovava in acque territoriali maltesi, è stato lasciato alla deriva per 5 giorni. Dodici migranti, provenienti per la maggior parte dall’Eritrea, sono morti e 51 respinti verso la Libia.
Il miglioramento delle condizioni meteorologiche ha fatto sì che le partenze dalle coste libiche a bordo d’imbarcazioni precarie riprendessero, ma i mezzi civili di soccorso delle organizzazioni non governative sono quasi tutti fermi, per ragioni di sicurezza legate all’emergenza sanitaria in corso. Mentre i mezzi militari europei presenti in quel tratto di mare non intervengono e ignorano i segnali di allerta. La situazione in Libia continua a peggiorare dal punto di vista della sicurezza, con la ripresa dei combattimenti, tanto da spingere il governo per la prima a proclamare la Libia “paese non sicuro”. Considerati il perdurare del conflitto in corso nel Paese, le condizioni disumane in cui rifugiati e richiedenti asilo vengono detenuti in centri sovraffollati e insalubri, anche l’UNHCR ha ribadito che nessuno dovrebbe essere riportato in Libia dopo essere stato soccorso in mare.
Misure come la quarantena e altri i controlli sanitari possono essere una valida risposta alle legittime preoccupazioni per la salute pubblica. Ritardi nei soccorsi o impedimenti agli sbarchi di imbarcazioni in difficoltà mettono a rischio le vite delle persone. Pur consapevoli del momento complesso che ci troviamo ad affrontare a causa dell’emergenza sanitaria, è importante garantire il rispetto dei principi di solidarietà e soccorso. Anche in tempo di pandemia resta irrinunciabile conciliare il dovere di garantire la salute di tutti a terra con quello di soccorrere chi è in pericolo in mare. Che sia in terra o in acqua, salvare vite umane rimane un imperativo morale, oltre che un obbligo derivante dal diritto internazionale. È necessario, nell’immediato, adottare procedure rapide per garantire la messa in salvo dei profughi che attraversano il Mediterraneo. Le restrizioni imposte a causa della pandemia dovrebbero essere bilanciate da misure sanitarie, come la quarantena per chi arriva, senza precludere il diritto a chiedere asilo.