“La vita è una evoluzione continua, non si arriva mai, c’è sempre qualcosa di nuova da perseguire e da aspettarsi. Non avrei mai pensato che, dopo decenni di beata solitudine, avrei potuto iniziare a vivere con qualcun altro. È successo e mi sta arricchendo tantissimo”. Rosa è una ex dipendente pubblica, ora in pensione. Per quarant’anni ha vissuto da sola nella sua casa di Napoli: una esistenza piena, fatta di tanto impegno civile, interessi, amicizie. A luglio del 2020 ha deciso che era giunto il momento di dare una scossa a questo status quo, aprendo le porte della sua casa ad Ashraf, un giovane del Bangladesh.
“Per me non è mai stata solo una questione di generosità, ma di giustizia. Ho deciso di ospitare Ashraf perché, semplicemente, ho pensato fosse una cosa giusta da fare. Un modo, nel mio piccolo, per reagire di fronte alle gravi violazioni dei diritti umani – fra cui il diritto di chiedere asilo – che si verificano alle frontiere, quelle di mare e quelle di terra”, racconta Rosa. Come per tante famiglie ospitanti, anche nel caso di Rosa l’accoglienza è stata un modo per prendere una posizione al fianco delle persone più vulnerabili. “Di fronte alle immagini dei migranti intercettati e riportati in Libia, o a quelli sulla rotta balcanica, costretti a ripararsi in luoghi di fortuna a temperature proibitive, mi sono detta che dovevo fare la mia parte. Ero stanca di lamentarmi soltanto. Così mi sono iscritta sul sito di Refugees Welcome Italia, anche se eravamo in pieno lockdown”, raggiunge la donna.
Così ha incontrato Ashraf: nonostante una vera e propria odissea alle spalle, il ragazzo aveva già dato prova di saper guardare avanti e superare le difficoltà. Sentiva però il bisogno di essere accompagnato in questo cammino e ritrovare la serenità necessaria a mettere radici in Italia. Il percorso di Ashraf è simile a quello di molti ragazzi e ragazze nella sua stessa condizione: all’avvicinarsi dall’uscita dal centro, la sua operatrice gli ha parlato del progetto Refugees Welcome e della possibilità di vivere con delle persone del posto. “Ho subito accettato perché ho pensato fosse un modo per capire più velocemente la cultura italiana e andare avanti. Dal momento in cui ho iniziato il viaggio che mi ha portato lontano dal mio paese, ho vissuto momenti di grande paura. Arrivato in Italia, però, mi sono sentito al sicuro. La prospettiva di vivere con una persona nuova non destava in me particolari preoccupazione”, precisa Ashraf.
Per me è una questione di giustizia sociale e umanità. Ho aperto le porte di casa per reagire di fronte alle gravi violazioni dei diritti umani che si verificano alle frontiere, quelle di mare e quelle di terra”
Rosa
Gli fa eco Rosa: “ero molto determinata a fare questa esperienza e non c’era spazio per tentennamenti. Il sapere di poter contare sulla presenza degli attivisti dell’associazione, di essere accompagnata in questo percorso, mi ha molto rassicurato”. Rosa è una donna forte ed indipendente, abituata da tempo a provvedere a se stessa: ha vissuto da sola per quant’anni e stava bene così. “Non nascondo di aver pensato che la presenza di una nuova persona in casa potesse in qualche modo intaccare la mia routine consolidata. Invece nn c’è stato alcuno scossone: Ashraf si è inserito nella mia quotidianità in modo naturale. Fra noi si è creata da subito un’atmosfera di familiarità, come se ci conoscessimo da tanto tempo”.

All’inizio, per sua stessa ammissione, Rosa avrebbe preferito una ragazza: quando però gli attivisti e le attiviste di Refugees Welcome le hanno proposto di accogliere un ragazzo giovane, arrivato in Italia quando era ancora minore, senza la famiglia, ha accettato. Per lei l’importante era essere di aiuto a chi in quel momento aveva bisogno. “L’unico ostacolo per me”, ricorda sorridendo, “era la cucina: non amo cucinare, quindi, sin dall’inizio, ho detto Ashraf che si sarebbe dovuto arrangiare da solo. Invece, alla fine, ho scoperto il piacere di prepare il cibo per qualcun altro e ora gli faccio trovare sempre qualcosa di pronto da mangiare”. Ashraf conferma questa consuetudine: “non mi aspettavo di trovare una figura di riferimento qui in Italia, invece Rosa è diventata una seconda mamma per me. È bello tornare a casa la sera e avere qualcuno con cui parlare e condividere quanto è successo durante le tue giornate”.
Ashraf ha lasciato il Bangladesh quando aveva 16 anni e mai avrebbe pensato di finire in Europa. Dopo aver vissuto per un periodo negli Emirati Arabi, in condizioni molto difficili, come capita a molti lavoratori del sud-est asiatico, ha deciso di spostarsi in Libia. “Non ero molto consapevole di quanto fosse pericoloso. Quando la situazione è degenerata – era come il far-west, dove, in assenza di una autorità riconosciuta tutti combattono contro tutti – ho deciso di tentare il viaggio verso l’Europa. Avevo paura di imbarcarmi perché non so nuotare e sentivo i racconti dei gommoni affondati in mare, ma non avevo scelta. Meglio affrontare il rischio del mare aperto che la violenza quotidiana in Libia”, racconta il ragazzo.
Le cose però si sono complicate. La prima volta che Ashraf ha tentato di attraversare il Mediterraneo, la sua imbarcazione è stata intercettata e riportata indietro. Tutte le persone a bordo, lui incluso, sono state detenute e, per la loro liberazione, è stato chiesto un riscatto alle famiglie. “Quei giorni di prigionia sono stati terribili, l’esperienza più dura della mia vita. Non mi va di entrare nei dettagli di tutto quello che ho dovuto subire, mi fa ancora male. Per fortuna, alla fine, sono arrivati i soldi e sono stato liberato”. A questo punto, Ashraf ha tentato un’altra volta la traversata via mare verso l’Italia: il secondo tentativo è andato a buon fine, anche grazie alla nave di una organizzazione non governativa che lo ha soccorso. Sbarcato a Napoli, il ragazzo è stato accolto in un centro per minori non accompagnati e poi, una volta compiuti 18 anni, in uno per adulti.
“Avevo paura di imbarcarmi perché non so nuotare e sentivo i racconti dei gommoni affondati in mare, ma non avevo scelta. Meglio affrontare il rischio del mare aperto che la violenza quotidiana in Libia”
Ashraf
Nonostante l’arrivo in Italia e la possibilità di vivere in un contesto sicuro, il passato ha tardato a mettersi da parte. “Per mesi ho avuto incubi. Dormivo poco e male. Da quando vivo con Rosa la situazione è molto migliorata. Sento che mi sono lasciato il peggio alle spalle. Ho ritrovato quella serenità che mi permette di guardare alla mia vita con fiducia”. A questo proposito, Rosa riflette sul momento critico che molti ragazzi come Ashraf vivono quando devono lasciare il sistema di accoglienza. “Usciti dai centri, si apre l’ignoto davanti a loro. Qui, a casa mia, Ashraf ha quella tranquillità che gli permette di concentrarsi sul suo progetto di vita e guardare avanti. Dargli questa opportunità, per me, come dicevo, è una questione di umanità di giustizia sociale”.
Fra i due, dopo nove mesi di convivenza, si è creato un rapporto molto solido, che ha permesso ad Ashraf di aprirsi. “Stiamo scrivendo insieme la sua storia. La sera ci sediamo insieme al computer: lui racconta e io cerco di dare concretezza ai suoi pensieri con le parole scritte. È un’esperienza umanamente molto intensa per entrambi. Per Ashraf, perché parlare del suo passato lo aiuta a superare alcuni traumi e ad esorcizzare la paura; per me, perché conoscere la sua odissea è una lezione di vita che meriterebbe di essere conosciuta da tutti. Ti aiuta a mettere tutto nella giusta prospettiva”, racconta Rosa. Il progetto è a buon punto e i due ora programmano di pubblicare il libro: i ricavi saranno donati ad una organizzazione non governativa impegnata in dei progetti di sviluppo in Bangladesh. “Per me è importante fare qualcosa per il mio Paese, credo che la felicità sia tale solo se collettiva” aggiunge Ashraf.

La mattina il ragazzo si alza presto a va a lavorare in un ristorante, dove fa il sushi. “Purtroppo a Rosa il pesce crudo non piace”, aggiunge ridendo Ashraf. Il pomeriggio, invece, è dedicato allo studio con il corso preparatorio all’esame di terza media. “Nel tempo libero mi piace tanto girare per Napoli e camminare sul lungomare, mi rilassa. E poi cucinare per gli altri. Ho preparato un pranzo a base di cibo bengalese e la pizza per Rosa e le sue amiche”. “Prepara una pizza buonissima, ha imparato a farla con un tutorial su Youtube”, conferma Rosa.
Prima di concludere l’intervista, c’è spazio per alcune riflessioni su presente e futuro: “Di Ashraf mi colpisce la maturità, nonostante la giovane età. C’è uno scambio costante, anche culturale: come me, anche lui è interessato ai temi sociali. Alla fine, ti rendi conto che, nonostante le differenze, crediamo nella stesse cose”. Riguardo il suo futuro Ashraf conferma di voler rimanere a Napoli, la città che ama e che lo ha accolto. Gli piacerebbe aprire un ristorante. “Quando andrà via per non sarà facile, ma la sua libertà viene prima di tutto. Deve inseguire i suoi sogni e realizzarli”, conclude Rosa.