La “straordinaria” normalità dell’accoglienza.
“Ospitare Hagerie vuol dire aiutarla a costruirsi una nuova vita in Italia, ma ci permette anche di mostrare ai nostri figli cosa sia, concretamente, la solidarietà”. Carlotta e Thomas, una giovane coppia con tre bambini di undici, otto e due anni, da giugno condividono la casa con Hagerie, una ragazza eritrea, e con suo figlio di due anni, nell’ambito del progetto “Welcome home” di Refugees Welcome, in collaborazione con il Consiglio italiano per i rifugiati. “Come sta andando la convivenza? Dovremmo chiederlo ai nostri vicini, visto che abbiamo in casa due bambini piccoli che un momento giocano insieme e un altro litigano e urlano”, scherzano Thomas e Carlotta. “Ma, al di là delle battute, possiamo dire che sta andando bene. Certo, vivere con altre persone non è sempre semplice, soprattutto quando si hanno dei figli piccoli. Ma con loro abbiamo discusso a lungo prima di iniziare la convivenza, volevamo che capissero il valore di quello che stavamo facendo e perché lo stavamo facendo. E ci hanno appoggiato: i due più grandi hanno anche accettato di tornare a condividere la stanza, per lasciare una camera ad Hagerie”. La ragazza sta frequentando un corso di pasticceria: “Ho lavorato per tre anni come pasticcera prima di venire in Italia” racconta.
Fabiola da nove mesi ospita, nella casa in cui vive da sola, Farah, un ragazzo di 20 anni nato a Mogadiscio e arrivato in Italia via mare, passando dalla Libia. “Vivo con Farah dallo scorso ottobre: trascorso il primo periodo di sei mesi ho deciso di prolungare la convivenza per non lasciarlo solo. Nella sua vita ha sofferto molto e ora si sta dando da fare per trovare un lavoro ed essere, finalmente, libero. Mi ha raccontato delle difficoltà del suo viaggio, di quando si è trovato a dormire in una stanza con altre cento persone ammassate. È entrato nel nostro Paese come minore non accompagnato, mi ha detto di aver dormito anche all’aperto, da solo. Ora sto cercando di aiutarlo a trovare la sua strada e a essere indipendente. Penso sia questo il senso del progetto di Refugees Welcome: non assistenzialismo fine a se stesso, ma una spinta verso l’autonomia e l’integrazione in un Paese straniero”. La decisione di ospitare un ragazzo di 20 anni, per una donna sola, non è stata semplice: “In molti mi dicevano che stavo sbagliando – spiega – e io stessa avevo dei dubbi. Poi ho conosciuto Farah e mi è sembrato tutto tranne che una persona di cui aver paura. Così ho deciso di iniziare quest’avventura. E non me ne pento».
“Per noi è stato come aver accolto un parente o un amico in difficoltà, non c’è nulla di straordinario. Purtroppo in questo periodo storico anche un normale gesto di umanità diventa eccezionale”. Guido parla così della sua vita con Layla, una ragazza irachena che da quattro mesi vive con lui, con la moglie Giovanna e con la loro figlia più piccola, che ha 24 anni. La stessa età della giovane donna ospitata. Una convivenza attivata nell’ambito del progetto Welcome Home di Refugees Welcome, in collaborazione con il Consiglio italiano per i rifugiati. “Non si può restare indifferenti di fronte alla sofferenza di tante persone. Abbiamo sentito il dovere di fare qualcosa. Chiunque abbia la possibilità di aiutare dovrebbe farlo, basta avere una stanza libera in casa. Speriamo che più persone possibili possano mobilitarsi”. Layla nel frattempo si sta dando da fare: ha vinto una borsa di studio e sta proseguendo l’università. “Vivere con lei ha aiutato anche noi a crescere – conclude – e a conoscere più da vicino situazioni di sofferenza e disumanità che spesso ci sembrano lontanissime ma che invece riguardano tutti noi. Nessuno escluso”.