
"Avevo bisogno di avere qualcuno accanto con cui parlare, condividere i miei pensieri, anche quelli più privati. Una spalla a cui appoggiarmi. Ho trovato questa persona in Marzia".
Jessita è una giovane rifugiata nigeriana. Ha 21 anni ed è arriva in Italia quando ne aveva 17. Una età in cui si è prossimi a diventare maggiorenni, ad entrare nel mondo degli “adulti”, almeno sulla carta. Un passaggio delicato, che reca con sé tutte le difficoltà di un percorso di inclusione ancora in divenire e che rischia di essere interrotto, se non adeguatamente sostenuto.
Una condizione comune a molti: oltre l’80% dei minorenni non accompagnati che arrivano in Italia ha un’età compresa fra i 16 e i 17 anni. Anche dopo i 18 anni, questi ragazzi hanno bisogno di essere seguiti, perché spesso faticano a realizzare il proprio potenziale e a mettere in pratica le proprie capacità.
Grazie al progetto Fianco a Fianco, realizzato a Palermo insieme ad Unicef, Jessita ha conosciuto Marzia, la sua “mentore”: una volontaria italiana che la sta aiutando ad affrontare le piccole e grandi sfide quotidiane. Fra le due è nato un rapporto profondo, fatto di amicizia e complicità. “Ho deciso di aderire a questo progetto e di diventare una mentore perché desideravo poter fare qualcosa di concreto per una giovane migrante. Sono stata tutrice di minori non accompagnati e so che è un bel modo per dare valore al proprio tempo libero”, racconta Marzia.
Stare a fianco di Jessita vuol dire ascoltarla, sostenerla nelle sue decisioni così come nello studio o nel lavoro, condividere con lei momenti di svago, incoraggiarla a realizzare le sue potenzialità. Essere per lei un punto di riferimento, una persona di fiducia. Jessita desidera continuare a studiare: al momento frequenta le scuole superiori e spera di riuscire a diplomarsi, conciliando la scuola con i suoi impegni di giovane mamma. “Avere Marzia vicino mi dà forza. Parliamo di tutto, dalle cose più banali a quelle più intime e importanti. Quando ho dei momenti di sconforto, perché tutto mi sembra troppo difficile, lei è lì, pronta a darmi coraggio”, racconta Jessita.
Marzia e Jessita hanno iniziato a frequentarsi lo scorso marzo, pochi giorni prima che iniziasse il lockdown. Nonostante la separazione fisica forzata, sono riuscite a rimanere in contatto e a conoscersi a poco a poco, grazie a video-call, messaggi e chat. Questo ha reso tutto più semplice e naturale, una volta che hanno potuto rivedersi di persona. In questi mesi, fra momenti di apparente ritorno alla normalità e nuove restrizioni, Marzia e Jessita hanno avuto modo di rafforzare il loro rapporto, fra passeggiate, cene assieme e sostegno reciproco. Jessita ha avuto modo di conoscere la famiglia di Marzia e la sua bambina, che è quasi coetanea della figlia. La maternità è una condizione comune che le ha ulteriormente avvicinate. Nel frattempo, Jessita ha ottenuto i suoi tanto agognati documenti: le è stata riconosciuta la protezione internazionale e ora può progettare il suo futuro in Italia con maggiore serenità. Un momento molto importante, che ha condiviso con Marzia. “Ora posso programmare, senza vivere alla giornata. Marzia è sempre stata convinta che avrei ottenuto una risposta positiva alla mia richiesta di asilo e la sua fiducia è stata contagiosa”.
"Per me è una esperienza molto gratificante a livello umano. Jessita mi cerca per consigli e altrettanto faccio io, perché è un dialogo, una relazione di reciprocità, che sono certa continuerà anche dopo la fine del progetto".
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