“Desidero che in questa casa si senta libero, come sono libera io”.
Con queste parole Luciana, pensionata di 90 anni, descrive la sua convivenza con Abdelaziz, il giovane studente rifugiato che ha accolto nella sua casa da circa un mese. Per lei, staffetta partigiana a soli 13 anni, la libertà è stata una difficile conquista e oggi è un bene prezioso da difendere, ogni giorno. “È quello che cerco di spiegare ai ragazzi quando vado nelle scuole a raccontare la mia esperienza di partigiana. Ne parlo anche con Abdelaziz: lui può capire meglio di altri, perché è stato costretto ad abbandonare il suo Paese per essere libero”.
Abdelaziz ha 22 anni e l’aria matura di chi è stato costretto a crescere in fretta. Vive in Italia dal 2016. “Il mio è stato proprio quel tipo di viaggio della speranza di cui sentite tanto parlare: ho lasciato il Gambia quando ancora c’era la dittatura, ho attraversato Senegal, Mali, Algeria e Libia. E poi la barca. Quando sono arrivato a Lampedusa non mi sono preoccupato del posto in cui mi hanno messo, ero troppo contento di essere sopravvissuto e sapevo che era una soluzione provvisoria. Molti dei compagni conosciuti durante il viaggio volevano proseguire per l’alta Europa, ma non io. Io, non so perché, ho sentito che in Italia qualcosa mi tratteneva. Forse la lingua, perché l’italiano mi piace tanto, o forse qualcosa nelle persone”.
Quando ripercorre le tappe del suo viaggio nel suo italiano quasi perfetto, Abdelaziz ha qualche esitazione che ben presto si trasforma in silenzio. Non ama condividere molti dettagli della sua vita “di prima” e Luciana rispetta questo riserbo: “Non conosco la sua storia e non faccio domande. Quando e se vorrà, sarà lui a raccontarmi cosa gli è successo. Mi interessa che stia bene qui, ora. Desidero che si senta parte integrante della famiglia, che ritrovi il calore di un posto che possa considerare casa. Ho capito subito che aveva bisogno di affetto e di ricostruire attorno a sé un’atmosfera famigliare”.
Abdelaziz ha contattato Refugees Welcome Italia alla fine del suo percorso nel sistema di accoglienza. Dopo Lampedusa, è stato trasferito al centro di Castelnuovo di Porto, dove è rimasto più di un anno, e da lì si è spostato in una struttura di seconda accoglienza. Nel frattempo, ha ottenuto lo status di rifugiato. “Quando Refugees Welcome Italia mi ha proposto di andare a vivere con una famiglia italiana, ho pensato che fosse una bella opportunità per me. Ma, allo stesso tempo, non nascondo che avevo un po’ di ansia e di paura”, confessa Abdelaziz. “Invece è stato tutto semplice e naturale, sia con la prima famiglia che mi ha accolto, sia ora con nonna Luciana. Quando l’ho incontrata la prima volta ho pensato che saremmo andati d’accordo e non mi sbagliavo. Mi ha trattato sin da subito come se fossi uno dei suoi nipoti”.
La loro routine è fatta di chiacchiere, studio, passeggiate e faccende domestiche. “Ci piace guardare la TV insieme e commentare le notizie dei telegiornali”, racconta Luciana. “Abdelaziz è un ragazzo curioso del mondo, ama leggere ed è bravissimo a scuola. Se ha un difetto è la testardaggine: vuole sempre lavare i piatti, benché io gli dica che abbiamo una lavastoviglie apposta per questo”.
“Nonna Luciana è una libreria vivente: mi ha raccontato tante cose del suo passato. È una persona che ha lottato per la libertà e la democrazia in Italia: ascoltarla è davvero un piacere e un onore. Questa convivenza è uno scambio: io imparo cose da lei, ma anche lei da me, riguardanti il mio paese e la mia cultura. È una cosa che arricchisce tutti”, aggiunge Abdelaziz, mentre sistema i libri sulla sua scrivania.
Ha da poco terminato di scrivere le ultime tesine prima della fine della scuola: frequenta un istituto superiore e sogna, un giorno, di poter andare all’Università e di laurearsi.
La sua presenza nel palazzo non ha destato particolari reazioni, racconta Luciana: “Ovunque vada e con chiunque mi trovi, io presento Abdelaziz come mio nipote”. Lui aggiunge: “Molte persone hanno timore dei ragazzi africani o del Medio Oriente perché non conoscono. E quello che non conosci ti fa paura. Il senso dell’accoglienza in famiglia è superare questa paura. È una rivoluzione”.
Una rivoluzione che inizia da casa di Luciana.
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