Le mascherine di Mustapha.

Ci sono dei rumori familiari e inconfondibili, che riportano indietro nel tempo. Come quelli delle vecchie macchina a cucire a pedali che appartenevano ai nostri nonni.

È questo tipo di macchina, figlia di un’altra epoca, che Mustapha ha comprato da un anziano signore di Napoli. È stata una delle prime cose che ha acquistato da quando vive in Italia: non un cimelio o un modello da collezione, ma uno strumento di lavoro. Perché Mustapha fa il sarto e quella macchina gli serve per cucire. Ne aveva una simile quando viveva ancora in Benin, il suo paese di origine, da cui è stato costretto a scappare nel 2017. Lì la usava per cucire abiti femminili destinati alle donne del posto. Qui invece la usa, in questi giorni, per creare delle mascherine che possano proteggere le persone a cui vuole dall’epidemia di COVID-19. L’emergenza sanitaria lo costringe a casa come tutti, sospende la sua quotidianità e la ricerca di un lavoro, spingendolo a inventare nuovi modi per riempire il vuoto delle giornate tutte uguali. E perché no, per rendersi utile. 

Mustapha vive a Poggio Reale, nella casa di famiglia che Rosaria e Nunzia, due sorelle napoletane, gli hanno messo a disposizione dopo la morte della loro madre. Desideravano ripopolare quello spazio di nuove voci e nuovi volti, tenerlo vivo per mantenere la memoria: si sono così rivolte a Refugees Welcome Italia per ospitare un rifugiato e, qualche giorno prima di Natale, hanno conosciuto Mustapha. Nunzia vive in un’altra abitazione a pochi metri di distanza; Rosaria, che fa l’infermiera, ha un appartamento al piano di sotto, ma di fatto, quando non lavora, divide la casa di famiglia con Mustapha.

“A fine febbraio anche qui a Napoli le mascherine sono diventate introvabili, così, su suggerimento di Nunzia e Rosaria, ho pensato di poter dare una mano, cucendole io stesso. Ho usato delle stoffe africane, a fantasie e molto colorate. Non sono le classiche mascherine, ma proteggono lo stesso. In questo momento non posso fare molto, se non restare a casa e usare la mia macchina da cucire per aiutare le persone che conosco. Ho prodotto una cinquantina di mascherine per  Rosaria, Nunzia, i loro familiari, i colleghi di lavoro e gli amici. È il mio modo di contribuire, di mostrare la mia vicinanza al Paese che mi ha accolto”.

 

A proposito della vita ai tempi della quarantena, Mustafa aggiunge: “Non mi pesa tanto stare a casa, soprattutto se c’è di mezzo una cosa importante come la salute. Nunzia e Rosaria mi aiutano a migliorare l’italiano, leggiamo e facciamo insieme gli esercizi. Mi spiace solo non aver potuto iniziare un corso di sartoria a cui mi ero iscritto e non poter cercare lavoro. Ho bisogno, come tutti, di lavorare. Ho sempre desiderato fare il sarto: per me è anche un modo per creare una continuità fra il prima, la mia vita in Africa, e il dopo, il mio arrivo in Italia. In pochi anni tutto è cambiato attorno a me, ma rimane il mio amore per il cucito. Un punto fermo”.

Una passione che lo porta a vivere quasi in simbiosi con la sua macchina a pedali Singer, fedele compagna di questi giorni sospesi. “Vorrei modificarla, inserendo un motore, per poterla utilizzare come se fosse elettrica. Il pedale è faticoso, rallenta. Appena finirà la quarantena andrò a comprarne uno”. Di quello che è diventato ormai il suo paese adottivo dice: “Non avevo in programma di venire in Europa. Non pensavo che un giorno sarei diventato un rifugiato, ma è andata così e non si può cambiare quello che non puoi controllare. Anche se non l’ho scelta, amo l’Italia, amo Napoli. Non è stato amore a prima vista, ma un sentimento che è cresciuto col tempo, imparando a conoscere ogni giorno qualcosa di più”.

Della sua vita passata, invece, Mustapha non vuole parlare. Non ha condiviso dettagli nemmeno con Nunzia e Rosaria. “Credo non sia ancora pronto a farlo e noi rispettiamo questa sua scelta. Quando e se avrà voglia di aprirsi, noi siamo qui”, commentano le due sorelle. “Il nostro rapporto con Mustapha è iniziato in punta di piedi, con discrezione e qualche imbarazzo. Per un po’ di tempo ci siamo “studiati”, ma poi la relazione, grazie alla condivisione della quotidianità, è cresciuta. All’inizio credo che lui avesse dei timori, del tutto comprensibili, rispetto a questa esperienza. Ma ora ha trovato la sua dimensione” racconta Nunzia. Della sintonia che si respira in casa, anche in questi giorni di quarantena, parla anche Rosaria: “Io sto continuando ad andare a lavorare fuori casa, perché faccio l’infermiera. Quando torno, spesso Mustapha mi fa trovare il pranzo o la cena pronti, a seconda dell’orario. Approfittiamo di queste giornate di reclusione per cucinare – l’altro giorno abbiamo fatto la pizza – per fare ginnastica e migliorare il suo italiano. Lo aiuto a fare gli esercizi e mi fa piacere vedere che migliora. Non sbaglia più nessun congiuntivo, quasi meglio di un italiano!”.

 

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