
Vogliamo promuovere un cambiamento culturale e un nuovo modello di accoglienza: crediamo che l’ospitalità in famiglia sia il modo migliore per facilitare l’inclusione sociale dei rifugiati nel nostro Paese e per combattere pregiudizi e paure.
L’accoglienza in famiglia può essere, per il rifugiato, un momento decisivo del percorso verso la piena autonomia: vivere con delle persone del luogo è il modo migliore per entrare a far parte di una comunità e conoscere più velocemente il contesto sociale e culturale del Paese ospitante. Il rifugiato potrà creare più facilmente una rete di rapporti sociali, migliorare la conoscenza della lingua, riattivare risorse umane e professionali, investire in un proprio progetto di vita: riprendere a studiare, trovare un lavoro, frequentare un corso di formazione professionale. L’accoglienza in famiglia favorisce l’espressione delle potenzialità personali, la partecipazione e il raggiungimento del benessere.
Promuoviamo un modello di accoglienza che, proprio perché basato sullo scambio, l’incontro e la conoscenza reciproca fra rifugiati e cittadini italiani, può contribuire a combattere pregiudizi, discriminazioni e luoghi comuni. L’accoglienza in famiglia fa bene a tutti: non solo ai rifugiati, ma anche ai cittadini che decidono di aprire le porte della propria casa. Chi ospita in casa un rifugiato ha l’opportunità di conoscere una nuova cultura, aiutare una persona a costruire un progetto di vita nel nostro Paese, diventare un cittadino più consapevole e attivo, creare nuovi legami.
Il nostro progetto, al momento, non fa parte del sistema istituzionale di accoglienza gestito dal Governo italiano. Questo vuol dire che non percepiamo la diaria giornaliera prevista dal Ministero dell’Interno per l’accoglienza dei richiedenti asilo e dei rifugiati. Stiamo lavorando per costruire partenariati con enti e organizzazioni, affinché l’accoglienza in famiglia possa essere sperimentata anche nell’ambito dei progetti finanziati dalle istituzioni e, quindi, prevedere un rimborso per le persone che decidono di ospitare. Al momento, per le famiglie che ne fanno richiesta, è possibile attivare delle campagne di raccolta fondi per sostenere economicamente la convivenza. Noi consigliamo le micro donazioni tramite il crowdfunding: attivando la rete di amici e familiari, è possibile raccogliere piccoli contributi mensili per sostenere le spese.
Questo dipende da vari fattori, anche da voi . Nella migliore delle ipotesi potete decidere di continuare la convivenza oltre il limite di tempo stabilito inizialmente. Se invece scegliete di non proseguire e la persona che ospitate non ha ancora raggiunto l’autonomia, penseremo noi a trovargli un’altra sistemazione con un’altra famiglia.
La condizione di rifugiato è definita dalla Convenzione di Ginevra del 1951, un trattato delle Nazioni Unite firmato da 147 paesi. Nell’articolo 1 della Convenzione si legge che il rifugiato è una persona che “temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale o opinioni politiche, si trova fuori del paese di cui ha la cittadinanza, e non può o non vuole, a causa di tale timore, avvalersi della protezione di tale paese”.
Dal punto di vista giuridico-amministrativo, il rifugiato è una persona cui è riconosciuto lo status omonimo perché, se tornasse nel proprio paese d’origine, potrebbe essere vittima di persecuzioni. Per persecuzioni s’intendono azioni che, per la loro natura o per la frequenza, sono una violazione grave dei diritti umani fondamentali, e sono commesse per motivi di razza, religione, nazionalità, opinione politica o appartenenza a un determinato gruppo sociale. L’Italia ha ripreso la definizione della Convenzione nella legge numero 722 del 1954.
Chi beneficia della protezione umanitaria non è riconosciuto come rifugiato, perché non è vittima di persecuzione individuale nel suo paese, ma ha comunque bisogno di protezione e/o assistenza perché particolarmente vulnerabile sotto il profilo medico, psichico o sociale o perché se fosse rimpratriato potrebbe subire violenze o maltrattamenti.
I Centri di Accoglienza Straordinaria (CAS) sono centri di prima accoglienza gestiti direttamente dalle Prefetture, che li affidano tramite bandi a soggetti di vario tipo. Non sono previsti servizi aggiuntivi oltre al vitto e all’alloggio, a meno che tali servizi non vengano previsti dal bando della Prefettura.
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