“La cosa che amo di più dell’Italia? Può suonare banale per molti, ma non lo è per me: la libertà. Qui posso essere me stessa ed esprimere la mia cultura. Fare cose semplici che in Tibet sono proibite. Sono fortunata a poter vivere qui”.
Tsering
Ogni anno sono centinaia i rifugiati tibetani che cercano di fuggire dall’occupazione cinese, attraversando un punto dei 1400 km di confine che la Regione Autonoma condivide con il Nepal. Un viaggio difficile e pericoloso lungo l’Himalaya, a più di 5 mila metri di altezza, che spesso comporta incidenti causati dal terreno impervio e dalle temperature proibitive. Chi viene scoperto dalla polizia nepalese è imprigionato o costretto a tornare indietro.
È da queste terre lontane che viene Tsering, una giovane donna di quarant’anni arrivata in Italia quattro anni fa, dopo un viaggio non molto diverso da quello sopra descritto. Il confine col Nepal è stato determinante nella sua storia. È da lì che tutto è iniziato. “Sono originaria di un villaggio di contadini dell’entroterra tibetano. A vent’anni mi sono trasferita in una città vicina al confine nepalese per lavorare in un ristorante. Qui ho conosciuto un’attivista, con la quale condividevo casa, impegnata ad aiutare i tibetani ad attraversare il confine per raggiungere il Nepal. Ho iniziato a collaborare con lei e il suo gruppo. Ero consapevole che fosse una cosa rischiosa, ma volevo comunque dare una mano alla mia comunità, aiutare le persone ad essere libere. La situazione è precipitata quando la mia amica è stata arrestata dalla polizia cinese. A quel punto per me rimanere in Tibet era troppo rischioso, la prossima a finire in carcere sarei potuta essere io”.
Tsering si è trovata così dall’altra parte, quella di chi è costretto a scappare. Ha camminato per dieci giorni fino al confine col Nepal e da lì, su un camion con altre decine di persone, ha raggiunto la capitale nepalese, Katmandu. Qui si è affidata ad un “fixer” locale che le ha procurato un passaporto e un biglietto aereo per Milano. “La scelta dell’Italia è stata abbastanza casuale”, racconta la ragazza. “Volevo andare in Europa e ricominciare da capo in un posto in cui essere libera”. Arrivata in città, Tsering ha fatto domanda di asilo, e da quel momento è iniziato il percorso nel sistema di accoglienza al termine del quale, ottenuto lo status di rifugiata, è entrata nel progetto di ospitalità in famiglia di Refugees Welcome. Da poco più di un mese Tsering vive con Samuele e Fabio, una coppia di suoi coetanei.
“L’arrivo di Tsering è stato un pò una sorpresa. Gli operatori di Refugees Welcome ci avevano anticipato che probabilmente avremmo ospitato un ragazzo più giovane di noi, proveniente dall’Africa Sub-Sahariana o dal Medio Oriente. Alla fine, invece, ci hanno presentato una giovane donna della nostra stessa età che viene dell’Asia”, ricordano sorridendo i due ragazzi. “Siamo rimasti favorevolmente colpiti anche perché, sin dall’inizio, ci siamo imposti di non avere aspettative. In questi casi è facile farsi condizionare dalle proprie fantasie e dall’immaginario sui rifugiati che viene alimentato dalle immagini che circolano sui media”. Per Tsering la prospettiva di vivere con una famiglia italiana è stata sin da subito una bella opportunità di proseguire il suo percorso: “quando mi hanno proposto di vivere con due uomini miei coetanei ho pensato che fosse positivo, per me, confrontarmi con persone della mia età, costruendo un rapporto paritario”, ci racconta la giovane rifugiata.

La decisione di aprire le porte di casa da parte di Samuele e Fabio è partita da un click su un post Facebook di Refugees Welcome Italia. “Negli ultimi anni ci siamo interessati alla questione dei migranti, tenendoci aggiornati su quanto accadeva in Italia o partecipando a delle manifestazioni. Non ci eravamo però mai spesi in prima persona e abbiamo pensato di fare un passo in più. Ci piaceva l’idea che ci fosse una persona nuova in casa, con una esperienza diversa dalla nostra. Abbiamo pensato che potesse essere un’esperienza bella per noi, e al contempo, un aiuto per qualcuno”, racconta Samuele. Fabio aggiunge: “Volevamo dare una testimonianza: stare, concretamente, dalla parte dei rifugiati. Spesso, purtroppo, le persone migranti e rifugiate nella loro vita quotidiana, in Italia, sono circondate da un clima di ostilità. Ospitare qualcuno a casa nostra è un modo per mostrare che esiste un’altra Italia, pronta a tendere la mano.
Le giornate dei tre ragazzi seguono una routine scandita dal lavoro, che impegna tutti e tre, dalle cene assieme e dalle serate davanti alla TV: “Ci incontriamo verso le sette per cenare insieme: io faccio un sacco di domande sui piatti italiani, perchè vorrei imparare a prepararli” commenta Tsering. “Quando eravamo ancora in due, la sera eravamo soliti vedere serie TV straniere per migliorare il nostro inglese. Ora invece, con Tsering, guardiamo quelle in italiano: stiamo seguendo Scam Italia con i sottotitoli, in modo che lei possa ampliare il suo vocabolario ed esercitarsi nella comprensione”. Tsering apprezza molto questi momenti di vita quotidiana: “Mi sento a mio agio. Samuele e Fabio sono due ragazzi molto gentili e aperti ed è rassicurante sapere di poter contare su di loro, quando ho bisogno. Purtroppo il mio italiano non mi permette di esprimermi come vorrei, quindi per ora parliamo principalmente in inglese. Spero di riuscire a poco a poco a padroneggiare la vostra lingua”.
La notizia della convivenza ha, nel frattempo, raggiunto gli amici della coppia. “Hanno tutti reagito con entusiasmo e sono curiosi di incontrare Tsering. A causa del Covid siamo costretti a centellinare gli inviti: sono già 4 le coppie di amici che sono venuti a conoscerla. Alcuni di loro stanno prendendo in seria considerazione l’idea di aprire le porte di casa”, racconta Samuele.
“La forza di una singola storia può essere enorme. L’ospitalità in famiglia ti permette di uscire dall’astrazione della categoria migranti – in cui spesso le persone sono rappresentate come una massa senza volto – e di restituire loro individualità e umanità. È un modo per combattere pregiudizi e paure”.
Fabio

“Fra di noi si è creato un bello scambio. Tsering ci racconta tante cose sul Tibet, paese di cui noi non sapevamo nulla. Ci ha fatto vedere un documentario sul viaggio che le persone che scappano dalla regione autonoma devono affrontare. Mentre lo guardavamo, ha condiviso con noi dei dettagli della sua esperienza personale ed è stato molto toccante. Non so se sarà sempre così, ma fino ad oggi, fra noi, tutto si è svolto in modo naturale”. “Nel momento in cui tu accogli qualcuno”, precisa Samuele, “sarebbe una forzatura pensare che si debba creare necessariamente un legame affettivo o una relazione significativa. Avevamo il timore che si potesse creare un rapporto sbilanciato, cosa che, per ora, fortunatamente, non è avvenuta. Desideriamo che Tsering in casa nostra si senta libera come siamo liberi noi”.
Alla domande su cosa direbbero a qualcuno interessato ad ospitare che ha ancora qualche dubbio, Fabio e Samuele rispondono: “Il Covid ci ha fatto riflettere sul tema della solitudine: viviamo in famiglie sempre più piccole e spesso isolate le une dalle altre. Per noi famiglia è un nucleo che si apre all’esterno. Ospitare Tsering è un altro modo per aprire la nostra famiglia al mondo”.