“Quando rientro, per me è naturale vedere Bachir che gironzola per casa. È parte della famiglia ormai. Guardiamo le partite, andiamo dal nonno, giochiamo a calcetto. Quando andrà via sentirò la sua mancanza”.

Queste sono le parole con cui oggi Giacomo, 13 anni, parla della sua esperienza di convivenza con Bechir, 27 anni, un giovane che viene dall’Etiopia. Eppure qualche mese fa non la pensava così: quando la madre Ilaria ha proposto di aprire le porte della loro casa ad una persona rifugiata, Giacomo è stato l’unico della sua numerosa famiglia – oltre ai genitori, il fratello Fabio, 16 anni, e le sorelle Jole ed Elsa, di 10 e 7 anni – a manifestare delle perplessità circa questa possibilità. “Lo ammetto, all’inizio non ho fatto i salti di gioia. Sono geloso dei miei spazi e l’idea di una persona in più in casa mi preoccupava. In più, sono piuttosto riservato. Quindi i primi tempi, quando Bechir è arrivato, sono stato un pò sulle mie e l’ho studiato. Prima di socializzare devo potermi fidare di una persona, ma lui è riuscito in breve a conquistarmi. Ora non riesco ad immaginare di tornare a casa e di non vederlo in giro”. Di questa iniziale “diffidenza” di Giacomo parla anche il giovane rifugiato etiope. “I primi giorni mi sentivo un po’ sotto osservazione e intimidito da Giacomo, perchè non mi dava molta confidenza, ma dopo un pò è diventata un’altra persona con me”.

Da allora sono passati circa 7 mesi e fra i ragazzi della famiglia e Bechir è nato un rapporto di amicizia che ha trovato nella comune passione per il calcio il principale collante. “Guardiamo le partite insieme e giochiamo a calcetto”, conferma Fabio, il più grande, “ci prendiamo molto in giro perchè Bechir è juventino e in casa, tranne mio padre, siamo tutti milanisti. Domenica c’è lo scontro diretto fra le due squadre e siamo pronti per la battaglia”, racconta scherzosamente il ragazzo.

All’inizio non ho fatto i salti di gioia, sono geloso dei miei spazi e riservato, ma Bechir è riuscito, in breve, a conquistarmi. Ora non riesco ad immaginare di tornare a casa e di non vederlo in giro.
Giacomo

Tutto è partito da Ilaria, che da tempo aveva in testa l’idea di ospitare una persona rifugiata, ma non trovava il coraggio di condividerla con il marito. “Mi tengo informata su quello che succede nel mondo dell’accoglienza e ho percepito chiaramente che c’era bisogno di un sostegno ai rifugiati e alle rifugiate nel loro, spesso faticoso, percorso di inclusione in Italia. Desideravo che noi, come famiglia, potessimo dare un contributo: dopo varie esitazioni ne ho parlato a mio marito e la sua risposta è stata “perché no”. A quel punto, Ilaria e Luca si sono rivolti a Refugees Welcome e dopo alcuni incontri, gli hanno proposto di conoscere Bechir.

“Avevo molta fiducia nell’associazione ed ero certa avrebbe studiato l’abbinamento giusto per la nostra famiglia. Ed è stato così. La prima volta che abbiamo incontrato Bechir era molto emozionato, perchè è una persona piuttosto riservata, ma poi, quando si sente a suo agio, tende ad aprirsi. Quello che ci ha colpito è che lui aveva davvero voglia di fare questa esperienza”, ricorda la coppia. “Mi sentivo un po’ sotto osservazione”, conferma il ragazzo, “ma mi hanno ispirato subito fiducia. Quando al centro di accoglienza mi hanno proposto di vivere con una famiglia numerosa mi è piaciuta subito l’idea, perché anche io sono cresciuto in una cosa affollata. Siamo in 7 tra fratelli e sorelle, e sentivo la mancanza di quel tipo di atmosfera”.

Oltre che con Giacomo e Fabio, Bechir ha creato un legame speciale anche con le due piccole di casa, Jole ed Elsa, che raccontano: “lo aiutiamo con l’italiano, gli abbiamo dato anche la pagella. Poi ci piace fare la lotta, ascoltare le canzoni e ballare. Lui ci prende in braccio e ci fa roteare come nei balli del film Greese”.

Il segreto di questa convivenza, secondo tutti, sta nel carattere del giovane rifugiato, che si è saputo inserire con naturalezza nelle dinamiche di casa. “Bechir ha un grande spirito di adattamento che è essenziale per vivere in una famiglia numerosa, chiassosa e confusionaria come la nostra. Si è subito integrato e ha saputo ritagliarsi un posto, con la riservatezza, la gentilezza e il rispetto per gli altri che lo contraddistinguono. La nostra, poi, è una famiglia allargata e lui ha stretto amicizia con tutti, con mio padre, mio suocero. È il coinquilino perfetto, un vero gentleman. Scherzando gli dico che è da sposare, anche è già sposato”, racconta sorridendo Ilaria.

“Di Bechir mi piace il carattere, ci facciamo sempre delle risate e in più è un cuoco provetto, ci ha fatto assaggiare dei piatti tipici dell’Etiopia” aggiunge Jole. Le fa eco Elsa: “ha sempre tempo per noi, anche se è stanco non dice mai di no a nulla. C’è sempre per noi. Quando entro nella sua stanza per vedere se dorme e lo sveglio, lui non si arrabbia mai”. “La verità è che le bambine a volte gli danno il tormento, ma Bechir ha una grande pazienza”, aggiunge ridendo Luca.

Per noi era importante insegnare il valore dell’accoglienza ai nostri figli, ma anche provare a cambiare la percezione della comunità in cui viviamo.
Ilaria e Luca

Della sua vita passata, Bechir parla il giusto. È stato costretto a lasciare il suo Paese, la sua famiglie e sua moglie, per motivi legati alla sua sicurezza personale: il giovane rifugiato è originario dell’Oromia, una regione dell’Etiopia dove da sempre si registrano conflitti interetnici e un conflitto a bassa intensità con il governo centrale. Arrivato in Italia su un’imbarcazione di fortuna, dopo aver trascorso alcuni mesi nell’inferno libico, ha tentato per ben due volte di raggiungere la Germania, per poi essere rimandato indietro a causa del regolamento di Dublino, che prevede che sia il primo paese d’ingresso a farsi carico di valutare la richiesta di protezione internazionale del richiedente asilo. “Volevo andare in Germania perché lì ho dei contatti e c’è una numerosa comunità etiope, ma le cose sono andate diversamente. Evidentemente era destino che rimanessi in Italia e incontrassi questa splendida famiglia” ci confessa.

Quando chiediamo alle ragazze di casa se sanno cosa vuol dire “rifugiato”, Jole risponde: “so che ci sono persone che arrivano su dei gommoni perché hanno dei problemi con i governi del paesi di origine che non sono gentili con loro”. “Scegliendo di fare questa esperienza, per noi era importante insegnare il valore dell’accoglienza ai nostri figli, fargli capire chi sono le persone che fuggono, ma anche provare a cambiare la percezione della comunità in cui viviamo”, precisa Luca.

“I primi mesi, quando ancora non lavorava, capitava che Bechir accompagnasse al parco qui vicino Elsa e Jole. Ho ricevuto telefonate allarmate di conoscenti che mi chiedevano chi fosse quel ragazzo in compagnia delle mie figlie. Ho spiegato loro la situazione: se all’inizio trovavano la cosa strana o preoccupante, ora non ci hanno fatto più caso. È diventato normale”, racconta Ilaria. Combattere i pregiudizi e abbattere i muri, materiali e immateriali che ci separano è, non a caso, uno degli obiettivi di quel cambiamento culturale che l’accoglienza in famiglia vuole promuovere. “Quando abbiamo raccontato ai nostri amici che avremmo ospitato in casa nostra una persona rifugiata, ci sono state reazioni di perplessità. Mia suocera, ad esempio, era contraria. Ma le è bastato conoscere Bechir per cambiare idea e ora vanno d’amore e d’accordo. Come dicono in molti, si ha paura di quello che non si conosce”, precisa Luca.

Lavoro tanto e ho degli orari faticosi, ma mi piace, la sera, cenare insieme e ascoltare i racconti di tutti su come è andata la giornata. È una piccolo rito di condivisione che mi fa sentire parte di questa famiglia.
Bechir

Nella quotidianità della famiglia allargata, il momento di condivisione principale è la cena, quando tutti si ritrovano a tavola. “Lavoro tanto e ho degli orari faticosi, a volte non ci sono anche il sabato, ma mi piace, la sera, cenare insieme e ascoltare i racconti di tutti su come è andata la giornata. È una piccolo rito di condivisione che davvero mi fa sentire parte di questa famiglia”, racconta il giovane rifugiato. Quando gli orari lo permettono, gli Zaffaroni e Bachir ne approfittano per fare delle passeggiate, mangiare un pizza o anche del cibo etiope.

“La cosa che ci premeva era di essere davvero d’aiuto a Bechir nel suo percorso verso l’indipendenza. Abbiamo raggiunto l’obiettivo del lavoro, che non era semplice, visto il periodo. È un passo importantissimo: dopo qualche mese di prova, ora ha un contratto di un anno, che gli dà una prospettiva sul suo futuro”. Accompagnare i rifugiati e le rifugiate negli ultimi chilometri che li separano dall’autonomia è l’obiettivo principale dell’accoglienza in famiglia. “Sono molto concentrato sul lavoro, sto migliorando e spero a breve di poter far venire mia moglie qui in Italia. Ho avviato la procedura per il ricongiungimento familiare, ma la burocrazia ha dei tempi piuttosto lunghi. Il mio desiderio è costruirmi una mia famiglia qui in Italia e credo di essere nella direzione giusta”.

Nel raccontare cosa significa per lei questa esperienza e quello che sta dando alla sua famiglia, Ilaria ci dice: “Siamo stati molto fortunati, perchè abbiamo incontrato una persona che non ha avuto nessun problema ad inserirsi in famiglia e ha saputo entrare nei cuori dei nostri figli. Fabio, il più grande, è piuttosto riservato: della famiglia abbraccia solo me e mio marito, ma ora anche Bechir. Sarà dura quando andrà via, ma sono certa che non ci perderemo”.

Condividi: