
Le persone che decidono di aprire le porte della loro casa per ospitare un rifugiato sono il cuore della nuova cultura di accoglienza che vogliamo costruire!
Le “famiglie” possono essere coppie con o senza figli, singoli cittadini, coinquilini, pensionati. Svolgono un ruolo di mentore naturale: accolgono nella propria casa il rifugiato, lo incoraggiano a riattivare le proprie risorse e potenzialità, lo sostengono emotivamente nel percorso di inserimento nel nostro Paese, lo aiutano a rafforzare la propria rete di relazioni.
Chi ospita in casa un rifugiato ha l’opportunità di conoscere una nuova cultura, aiutare una persona a costruire un progetto di vita nel nostro Paese, diventare un cittadino più consapevole e attivo, attivare nuovi legami. Cerchiamo persone che condividano i nostri valori e che siano disponibili a sostenere per almeno 6 mesi un rifugiato nel suo percorso verso l’indipendenza.
I rifugiati sono persone giovani, di età compresa fra i 18 e i 35 anni, che hanno ottenuto un permesso di soggiorno, ma non hanno ancora la possibilità di andare a vivere da soli. Il periodo della convivenza è un momento fondamentale per diventare indipendenti. Con il nostro supporto, definiscono il loro progetto personale verso l’autonomia: riprendere a studiare, trovare un lavoro, frequentare un corso di formazione professionale.
Noi seguiamo tutte le fasi del percorso: sia prima che durante la convivenza, restiamo costantemente in contatto con la famiglia e il rifugiato. Valutiamo l’andamento dell’ospitalità in generale e, più in dettaglio, i progressi che il rifugiato compie rispetto al suo progetto individuale.
Il nostro progetto, al momento, non fa parte del sistema istituzionale di accoglienza gestito dal Governo italiano. Questo vuol dire che non percepiamo la diaria giornaliera prevista dal Ministero dell’Interno per l’accoglienza dei richiedenti asilo e dei rifugiati. Stiamo lavorando per costruire partenariati con enti e organizzazioni, affinché l’accoglienza in famiglia possa essere sperimentata anche nell’ambito dei progetti finanziati dalle istituzioni e, quindi, prevedere un rimborso per le persone che decidono di ospitare. Al momento, per le famiglie che ne fanno richiesta, è possibile attivare delle campagne di raccolta fondi per sostenere economicamente la convivenza. Noi consigliamo le micro donazioni tramite il crowdfunding: attivando la rete di amici e familiari, è possibile raccogliere piccoli contributi mensili per sostenere le spese.
Questo dipende da vari fattori, anche da voi . Nella migliore delle ipotesi potete decidere di continuare la convivenza oltre il limite di tempo stabilito inizialmente. Se invece scegliete di non proseguire e la persona che ospitate non ha ancora raggiunto l’autonomia, penseremo noi a trovargli un’altra sistemazione con un’altra famiglia.
La condizione di rifugiato è definita dalla Convenzione di Ginevra del 1951, un trattato delle Nazioni Unite firmato da 147 paesi. Nell’articolo 1 della Convenzione si legge che il rifugiato è una persona che “temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale o opinioni politiche, si trova fuori del paese di cui ha la cittadinanza, e non può o non vuole, a causa di tale timore, avvalersi della protezione di tale paese”.
Dal punto di vista giuridico-amministrativo, il rifugiato è una persona cui è riconosciuto lo status omonimo perché, se tornasse nel proprio paese d’origine, potrebbe essere vittima di persecuzioni. Per persecuzioni s’intendono azioni che, per la loro natura o per la frequenza, sono una violazione grave dei diritti umani fondamentali, e sono commesse per motivi di razza, religione, nazionalità, opinione politica o appartenenza a un determinato gruppo sociale. L’Italia ha ripreso la definizione della Convenzione nella legge numero 722 del 1954.
Chi beneficia della protezione umanitaria non è riconosciuto come rifugiato, perché non è vittima di persecuzione individuale nel suo paese, ma ha comunque bisogno di protezione e/o assistenza perché particolarmente vulnerabile sotto il profilo medico, psichico o sociale o perché se fosse rimpratriato potrebbe subire violenze o maltrattamenti.
I Centri di Accoglienza Straordinaria (CAS) sono centri di prima accoglienza gestiti direttamente dalle Prefetture, che li affidano tramite bandi a soggetti di vario tipo. Non sono previsti servizi aggiuntivi oltre al vitto e all’alloggio, a meno che tali servizi non vengano previsti dal bando della Prefettura.
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