Come organizzazioni del Tavolo Asilo e Immigrazione esprimiamo un parere nettamente negativo sul decreto legge 2 gennaio 2023, n. 1, recante disposizioni urgenti per la gestione dei flussi migratori e chiediamo al Parlamento di non convertirlo in legge.
L’unico obiettivo concreto, oltre alla criminalizzazione del salvataggio in mare e quindi delle ONG che lo fanno, al posto degli Stati, è quello di allontanare navi Ong dal Mediterraneo centrale per limitarne l’operatività. Se sono veri i dati forniti dal Viminale nel 2022 le persone salvate dalle ONG corrispondono a circa il 14% di quelle approdate sulle nostre coste, circa 14 mila persone. Allontanando le navi delle ONG dal tratto di mediterraneo che registra più morti per naufragi di tutto il pianeta, si produrranno alcune migliaia di morti in più: non è davvero accettabile che si scriva una legge il cui unico risultato saranno più morti. I dati, più volte pubblicati nel corso degli anni, mostrano come non ci sia alcun legame tra la presenza delle navi delle ONG e le partenze: si registrano partenze più o meno numerose sia in presenza delle navi che nella totale assenza delle navi.
Dall’insediamento del governo Meloni ad oggi, le persone salvate dalle ONG in percentuale a quelle arrivate in Italia sono solo il 7%, nello stesso periodo dell’anno scorso erano il 22%. Ossia le ONG hanno salvato in % meno persone. Eppure se si guardano i dati sugli arrivi dello stesso periodo siamo passati da 16 mila circa a 32 mila, con un aumento di più del 90%. Come si intuisce non c’è alcun legame tra presenza delle ONG e sbarchi. È noto che i fattori che determinano le partenze sono in prevalenza le condizioni del mare e la volontà dei trafficanti, non certo la presenza di ONG. Chi mette in mare le persone che intendono attraversare il mediterraneo non ha certo a cuore la loro sorte.
Certo, una cosa è vera: se le persone rimangono in Libia, perché non riescono a partire muoiono. Non è accettabile, e neanche comprensibile, la ragione per la quale se muoiono in Libia, dentro i centri da noi finanziati, è meglio. Ricordiamo che in Libia vengono commessi crimini contro l’umanità nei confronti dei migranti. Lo ha detto esplicitamente di recente il procuratore della Corte Penale Internazionale dell’Aja Karim Khan. Le persone continueranno a partire comunque, con o senza le navi delle Ong, perché qualunque essere umano nelle condizioni nelle quali vivono i migranti in Libia, farebbe qualsiasi cosa per scappare, anche rischiando di morire in mare pur di non morire torturato in Libia. Va altresì sottolineato che la cosiddetta guardia costiera libica nel 2022 ha riportato in Libia circa 23 mila persone scappate dagli aguzzini libici. 23 mila persone che non hanno potuto mettersi in salvo e che, anche per nostra responsabilità, saranno finite di nuovo in posti dove, lo ribadiamo, vengono commessi crimini contro l’umanità.
Vogliamo inoltre evidenziare due dati importanti per il dibattito parlamentare su questo disegno di legge:
- In Italia negli anni scorsi sono state ospitate anche più di 190 mila persone e al momento siamo ben lontani da quei numeri, il sistema d’accoglienza è in difficoltà, e noi che gestiamo accoglienza da sempre lo sappiamo bene, per responsabilità del Viminale. Infatti si continuano a non programmare gli interventi, nonostante la legge obblighi il governo a farlo. Senza programmazione il sistema sarà sempre in emergenza. A ciò si aggiunga che le gare delle prefetture per i cosiddetti CAS vanno deserte perché il capitolato continua a favorire i grandi centri e i soggetti che fanno utili, ossia i soggetti profit, con una spesa pro capite pro die che non consente di realizzare servizi di integrazione (per cui le organizzazioni non profit si rifiutano di accogliere se non ci sono condizioni dignitose) e perché l’aumento dei costi non consente di coprire neanche le spese di vitto, alloggio e utenze. Peraltro la legge obbliga gli Stati ad accogliere dignitosamente le persone, tutti i richiedenti asilo, e invece il nostro governo non sta ottemperando a questo obbligo di legge, alimentando situazioni di disagio sociale gravi. Siamo arrivati al paradosso che il governo non fa quello che dovrebbe e manda ai governi degli altri Paesi UE una comunicazione per bloccare i reingressi Dublino. Un comportamento anch’esso contrario alla legge.
- In tutti questi anni il dibattito pubblico è stato sempre distorto da quella che possiamo chiamare una falsa evidenza, cioè una bugia pubblica che non necessità di dimostrazione e che anzi viene usata a dispetto dei dati reali: l’Italia è stata negli ultimi 10 anni e continua a essere uno dei Paesi che si fa carico di un numero di richiedenti asilo inferiore alla media europea. Se venisse riformato il Regolamento Dublino, come noi auspichiamo, superando il principio del Paese di primo approdo, l’Italia non ne ricaverebbe un vantaggio sul piano della distribuzione rispetto alle presenze attuali. Nel documento che invieremo come TAI riporteremo i dati disponibili degli ultimi anni, pubblicati da Eurostat, dai quali si evince che non siamo neanche lontanamente tra i Paesi che fanno di più in relazione all’accoglienza.
Dal punto di vista strettamente giuridico, queste le maggiori perplessità emerse dall’analisi del testo in oggetto:
- il carattere palesemente discriminatorio, e quindi di per sé privo di fondatezza giuridica, di norme che pretendono di rivolgersi esclusivamente alle navi di salvataggio gestite dalle Organizzazioni Umanitarie, e non agli altri assetti, che effettuano, come già ricordato, la grande maggioranza dei salvataggi in mare. Tale discrezionalità non può che basarsi sul presupposto, che consideriamo inaccettabile e che non è mai stato confermato da nessuna delle indagini che si sono succedute negli anni, che l’attività delle navi di salvataggio delle ONG sia generalmente illegale, e rientri nel quadro non di attività di soccorso a tutela della vita umana, ma di attività tese al favoreggiamento dei flussi migratori irregolari, quando non addirittura al traffico di esseri umani;
- il carattere vago o del tutto pleonastico delle norme introdotte. Oltre al fatto che ci troviamo di fronte a un caso senza precedenti, in cui una norma nazionale pretende di applicarsi a navi battenti bandiera di altro stato per attività svolte in acque internazionali, ben quattro delle condizioni che il Decreto pretende di imporre alle navi delle ONG per poter sostare in acque territoriali senza incorrere in una sanzione (lettera a, c, e, f) si limitano a ripetere previsioni ovvie, già contenute nella specifica normativa internazionale;
- anche la specifica contenuta al punto b) sull’informativa circa la possibilità di richiedere protezione internazionale sembra riformulare, anche se in modo del tutto vago, quanto già è contenuto nelle norme riguardo al diritto, per le persone salvate, di chiedere asilo una volta sbarcate in un porto sicuro. Si intravede allora in questa previsione, non necessaria, un non troppo velato intento di promuovere l’idea, oggetto di un acceso dibattito nelle scorse settimane, che le domande di asilo debbano essere presentate a bordo della nave, radicando nello stato di bandiera della stessa la competenza al loro esame. Si vuole qui sottolineare che in nessun caso il diritto internazionale marittimo individua il comandante di una nave quale autorità competente a registrare le loro domande di asilo;
- il punto d) contiene una formulazione di scontato buon senso (il porto di sbarco assegnato è raggiunto senza ritardo), ma che sta dando origine a una prassi del tutto inaccettabile: quella di impedire i soccorsi multipli alle navi di salvataggio, ad esempio impedendo il trasbordo di naufraghi da un assetto a un altro. Appare persino ridondante chiarire che, poiché soccorrere i naufraghi è un obbligo sancito dal diritto internazionale (in particolare dall’art.98 della Convenzione UNCLOS firmata a Montego Bay nel 1982), va da sé che una nave che abbia effettuato un primo soccorso e stia dirigendosi verso il porto assegnato abbia comunque l’obbligo di soccorrere altri naufraghi, qualora sia raggiunta da una comunicazione sul loro stato di pericolo e sia in grado di poterli accogliere a bordo;
- riflettendo ulteriormente sul tema della necessità di giungere “senza ritardo” al porto di sbarco, ne consegue che le navi di salvataggio non possono essere costrette a lunghe deviazioni per sbarcare le persone salvate. È vero che nessuna delle convenzioni internazionali fa riferimento in modo preciso alla questione della distanza del porto sicuro dal luogo del salvataggio: ma le Linee Guida dell’IMO dicono che il porto deve essere assegnato con la minima deviazione possibile per la nave soccorritrice. Questo pone la scelta di fare sbarcare i naufraghi in porti significativamente lontani dal luogo di salvataggio (come è stato recentemente il caso di Livorno, Ancona o Ravenna) in contrasto con la normativa sul soccorso, perché espone le navi delle ONG al rallentamento delle operazioni di salvataggio e a un eccessivo carico finanziario e esercita su tali imbarcazioni poteri idonei a incidere sul godimento di diritti fondamentali;
- siamo infine allarmati dalla decisione di trasferire la competenza dalla Magistratura alle autorità prefettizie, organicamente dipendenti dallo stesso Ministero dell’Interno, in caso di ricorso avverso il procedimento di fermo amministrativo della nave.
A Buon Diritto, ACAT Italia, ACLI, ActionAid, Amnesty International Italia, ARCI, ASGI, Caritas Italiana, Centro Astalli, CGIL, CIES, CIR, CNCA, Comunità Papà Giovanni XXIII, Emergency, Europasilo, Focus-Casa dei Diritti Sociali, Fondazione Migrantes, Intersos, Legambiente, Magistratura Democratica, Medici per i Diritti Umani, Medici Senza Frontiere, Movimento Italiani Senza Cittadinanza, Refugees Welcome Italia, Save the Children Italia, Senza Confine, OXFAM Italia, SIMM, UNIRE