Dalla Mauritania all’Italia: la storia di Ibrahima

Non è facile essere nero, in Mauritania.
Nel Paese, che si estende a cavallo tra il Maghreb arabo e l’Africa sub-sahariana, il potere è distribuito in un rigido sistema di caste in cui la popolazione di origine arabo-berbera – che è la minoranza – occupa una posizione di leadership politica ed economica, mentre gli afro-mauritani, che costituiscono la maggioranza, sono discriminati, esclusi, faticano ad accedere all’istruzione e svolgono mestieri che gli altri considerano degradanti. Molti di loro continuano ad essere esplicitamente sfruttati attraverso un vero e proprio sistema di schiavitù, prassi ancora diffusa e tollerata, nonostante il governo mauritano insista nel dire che il fenomeno sia scomparso. E Ibrahima, che per i diritti della sua gente è sceso in piazza, è stato arrestato, torturato, ha perso un occhio. È stato costretto a rifugiarsi prima in Senegal e poi in Mali, sopravvivendo con lavori mal pagati, è passato dall’inferno libico, dove ha trascorso un mese e mezzo in un centro di detenzione, per poi cercare la salvezza su un barcone che lo ha portato in Italia. Un volta qui, ha ottenuto l’asilo politico.

Trasferitosi nelle Marche, ha studiato l’italiano, ha preso la licenza media e, una volta uscito dal progetto di seconda accoglienza dello Sprar-Siproimi, è stato accolto da Luigi ed Elvira, una coppia di Macerata che lo sta sostenendo nel suo percorso, spesso faticoso, verso l’autonomia. Luigi ed Elvira sono alla loro seconda esperienza di ospitalità con Refugees Welcome: per un anno circa hanno aperto le porte a Mamadou, che ora vive da solo e ha trovato un lavoro stabile in una azienda del verde. La stessa dove adesso anche Ibrahima sta svolgendo un tirocinio.


“Questi ragazzi hanno affrontato l’indicibile”, sottolinea Luigi. “Quello che ricevo sul piano umano è molto di più di quello che do. Se ognuno di noi avesse la possibilità di parlare con loro, molti pregiudizi verrebbero meno. I muri che si vogliono erigere imprigionano innanzitutto noi”.

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