AVVISO PUBBLICO PER SELEZIONE PERSONALE FAMI NAPOLI

AVVISO PUBBLICO PER IL CONFERIMENTO MEDIANTE PROCEDURA SELETTIVA COMPARATIVA DI INCARICHI PER N. 1 COORDINATORE DELLE ATTIVITA’ LOCALI DA IMPIEGARE NEL PROGETTO FINANZIATO DAL FONDO ASILO MIGRAZIONE E INTEGRAZIONE (FAMI): "YALLA! SOCIAL COMMUNITY SERVICES". PROG 2897 - CUP B69D19000090007 

AVVISO DI SELEZIONE PER COORDINATORE LOCALE NAPOLI

Coordinatore locale NAPOLI_allegato A

Allegato B - Fami Napoli

 

 


I Sommersi e i Salvati: la mobilitazione a Roma il 27 luglio.

Stop ai finanziamenti alla cosiddetta Guardia Costiera Libica, evacuazione dei centri di detenzione, corridoi umanitari.

Sono queste le richieste della campagna Io Accolgo, di cui Refugees Welcome è fra i promotori, cha ha aderito all’appello “I sommersi e i salvati”, lanciato da Luigi Manconi, Roberto Saviano, Sandro Veronesi e sottoscritto da intellettuali, Ong, associazioni e tanti cittadini e cittadine. 

Giovedì 16 luglio la Camera dei Deputati, per il quarto anno consecutivo, ha approvato il finanziamento della missione italiana in Libia, che prevede in particolare il sostegno economico alla cosiddetta guardia costiera libica e l’attività di formazione e addestramento dei suoi componenti.

A partire dal controverso Memorandum d’intesa del 2017, gli accordi Italia-Liba intrappolano migliaia di persone in condizioni disumane, senza fermare le morti in mare, finanziando l’adeguamento dei centri di detenzione e il contenimento dei flussi migratori. Negli ultimi anni, diverse inchieste giornalistiche e delle Nazioni Unite hanno mostrato come la Libia non possa essere considerata un paese sicuro e come nei centri libici i migranti subiscano violazioni dei loro diritti fondamentali. Le autorità libiche continuano a detenere illegalmente migliaia di persone nei centri amministrati dal Direttorato generale per la lotta alla migrazione illegale, dove vengono sottoposte a sfruttamento, lavoro forzato, tortura e altre violenze, inclusi stupri, spesso allo scopo di estorcere denaro alle famiglie in cambio del loro rilascio. I detenuti nei centri vivono in condizioni disumane, di sovraffollamento e mancanza di cibo, acqua e cure mediche. Il deteriorarsi del conflitto li ha esposti a rischi sempre maggiori: a luglio del 2019, un raid aereo ha colpito un centro di detenzione nei pressi di Tajura, sobborgo di Tripoli, causandola morte di 40 persone. Su tutto ciò non vogliamo tacere e, ciascuno nel suo campo e con le sue risorse, vogliamo proporre all’opinione pubblica, a tutti gli uomini e le donne di buona volontà, i seguenti obiettivi che corrispondono ad altrettante irrinunciabili urgenze:

Non più fondi alla guardia costiera libica: non si deve finanziare un corpo non ufficiale che svolge il lavoro sporco respingendo le persone intercettate in mare e imprigionandole in decine e decine di centri di detenzione.

Chiusura ed evacuazione dei centri di detenzione e trasferimento dei migranti fuori dalla Libia: sappiamo a quali orrori sono sottoposte le persone rinchiuse nei centri – governativi e non – in mano a milizie e trafficanti. Queste strutture vanno chiuse.

Corridoi umanitari per garantire alle persone in fuga di trovare protezione senza mettere a repentaglio la propria vita: l’Italia, d’intesa con altri Stati europei, deve promuovere una grande operazione umanitaria per il trasferimento e il reinsediamento nei paesi di accoglienza delle persone evacuate: così come avviene da anni, se pure per gruppi ristretti, grazie all’opera di organizzazioni internazionali e realtà private di ispirazione religiosa.

Il testo integrale dell’appello è consultabile qui

L'appuntamento è lunedì 27 luglio 0re 18 a Piazza San Silvestro. Per maggiori dettagli: http://bit.ly/39oMQpt


L'Italia conferma i finanziamenti alla "Guardia Costiera Libica".

Apprendiamo con rammarico che, nella giornata di ieri, la Camera dei Deputati ha approvato il rifinanziamento delle missioni militari internazionali, che include il sostegno finanziario alla Libia per oltre 58 milioni di euro, di cui 10 destinati alla formazione e all'addestramento della cosiddetta Guardia Costiera Libica.

A partire dalla firma del controverso Memorandum d’intesa del 2017, gli accordi Italia-Liba intrappolano migliaia di persone in condizioni disumane, senza fermare le morti in mare, finanziando l'adeguamento dei centri di detenzione e il contenimento dei flussi migratori. 

Negli ultimi anni, diverse inchieste giornalistiche e delle Nazioni Unite hanno mostrato come la Libia non possa essere considerata un paese sicuro e come nei centri libici i migranti subiscano violazioni dei loro diritti fondamentali. Le autorità libiche continuano a detenere illegalmente migliaia di persone nei centri amministrati dal Direttorato generale per la lotta alla migrazione illegale, dove vengono sottoposte a sfruttamento, lavoro forzato, tortura e altre violenze, inclusi stupri, spesso allo scopo di estorcere denaro alle famiglie in cambio del loro rilascio. I detenuti nei centri vivono in condizioni disumane, di sovraffollamento e mancanza di cibo, acqua e cure mediche. Il deteriorarsi del conflitto li ha esposti a rischi sempre maggiori: a luglio del 2019, un raid aereo ha colpito un centro di detenzione nei pressi di Tajura, sobborgo di Tripoli, causandola morte di 40 persone.

Ribadiamo la nostra contrarietà a qualsiasi accordo che finanzi politiche di respingimento e detenzione sulla pelle di essere umani, oggi bloccati in paese in guerra.


Il sarto e l'insegnante: la storia di Brice e Ada.

ll Covid, nonostante le restrizioni e limitazioni, sembra non aver fermato il desiderio di condividere esperienze di vita, seppure apparentemente così diverse e lontane. La storia di accoglienza che raccontiamo oggi viene da Mola di Bari, una  cittadina della costa barese.

È qui che abita Ada, insegnante di italiano in una scuola media e appassionata di viaggi. Curiosa dell’altro e desiderosa di aiutare una persona rifugiata nel suo percorso di inclusione in Italia, Ada ha contattato Refugees Welcome Italia per dare disponibilità ad ospitare.  Dopo mesi di attesa, dovuti al lockdown, finalmente è riuscita a realizzare questo desiderio, che è diventato ancora più forte durante i mesi di isolamento. "La quarantena mi ha fatto capire ancora di più quanto sia importante avere una casa in cui stare al sicuro. E ho pensato che mettere a disposizione la mia fosse la cosa giusta da fare". Così, a fine maggio, Ada ha potuto finalmente incontrare Brice, 28 anni, che è in Italia dal 2017 e proviene dal Camerun. Qui gestiva un atelier di moda e oggi ama definirsi “sarto di professione e parrucchiere per hobby”. Una volta in Italia ha fatto di tutto, lavorando ovunque fosse possibile e frequentando corsi di sartoria, ma anche di giardinaggio.

Brice ha conosciuto Refugees Welcome tramite un’amica e ha visto nel progetto un’ottima opportunità di crescita personale. Vivere con delle persone del posto, racconta, è uno dei modi migliori “per conoscere il territorio e le abitudini degli italiani, migliorare la lingua e orientarsi nella burocrazia”. Ma è anche, per il giovane camerunense, “trovare un luogo da poter chiamare finalmente casa”.

Dopo gli incontri conoscitivi preliminari, avvenuti con la mediazione del gruppo barese di Refugees Welcome, a inizio giugno Brice si è trasferito a casa di Ada e a quanto pare ci sono tutti i presupposti affinché questa esperienza si riveli arricchente per entrambi, da un punto di vista umano e del sostegno reciproco. Brice è arrivato a Mola di Bari portando con sé una grossa valigia piena di stoffe ed un abito realizzato esclusivamente per Ada, per ringraziarla del suo gesto di accoglienza e generosità.

 


Regolarizzazione: le proposte per renderla più efficace.

Il governo ha approvato il cosiddetto Decreto rilancio che prevede una misura per regolarizzare i cittadini stranieri lavoratori in Italia.

Si tratta sicuramente di un passo avanti, importante, verso una piena tutela dei diritti e della dignità di tantissime persone che vivono nel nostro Paese da "invisibili", in condizioni di sfruttamento e marginalità.

Tuttavia, si sarebbe potuto fare di più, estendendo la misura ad altri settori, oltre a quelli dell'agroalimentare, del lavoro domestico e dei servizi di cura, e prevedendo criteri meno stringenti per ottenere il permesso di soggiorno di sei mesi per ricerca lavoro. Attualmente, infatti, questa possibilità, secondo quanto stabilito dal comma 2,  è prevista solo per le persone il cui permesso di soggiorno è scaduto dal 31 ottobre 2019 e che siano in grado di dimostrare di aver avuto esperienze lavorative pregresse nei settori toccati dal decreto. Quest'ultima misura, quindi, consentirà solo ad una piccola percentuale delle persone di regolarizzare la propria posizione, mentre la maggior parte di loro continuerà a rimanere  in Italia in una situazione di irregolarità o precarietà giuridica. Continueremo ad impegnarci per portare avanti una proposta più ampia che possa portare ad una riforma del sistema dell'attuale legislazione sull'immigrazione, puntando non solo all'emersione dell'irregolarità ma eliminando le condizioni che concorrono a crearne nuova.

Nei giorni scorsi, in collaborazione con 250 organizzazioni e professionisti del settore immigrazione e asilo abbiamo realizzato un documento congiunto con una serie di proposte per il legislatore, anche in vista della discussione in Parlamento del provvedimento.

Siamo davanti a un’emergenza dalla triplice dimensione: sanitaria, sociale ed economica. Nell’attuale emergenza sanitaria mondiale dove è impossibile il movimento delle persone, anche per il ritorno nei Paesi di origine, per effetto della chiusura dei confini di moltissimi Paesi, è oggi più che mai necessario che il Governo e il Parlamento italiano promuovano una regolarizzazione dei cittadini stranieri presenti in Italia perseguendo due obiettivi oggi imprescindibili: l’emersione dall’invisibilità di migliaia di persone che vivono e/o lavorano nel territorio italiano ed una conseguente migliore tutela della salute personale e pubblica. Lasciare centinaia di migliaia di persone in condizioni di invisibilità, e di forzata indisponibilità ad effettuare uno screening sanitario, potrebbe comportare conseguenze disastrose per l’intera società, che vanno impedite adottando, come prima misura urgente, quella di consentire l’accesso al sistema sanitario, attraverso la regolarizzazione della loro presenza sul territorio.

Non bisogna dimenticare che la maggior parte dei migranti lavoratori irregolari sono sottoposti a lavoro paraschiavistico e al caporalato. Regolarizzarli darebbe loro la possibilità di svincolarsi dallo sfruttamento. Inoltre, se a questa misura si aggiungesse la possibilità di un permesso per ricerca lavoro o attesa occupazione, valido per tutto il periodo dell’emergenza per chi non ha oggi un lavoro, renderebbe regolari gran parte di quanti sono stati espulsi dal sistema di accoglienza, sono in attesa del riconoscimento della protezione (denegati ma ricorrenti), o sono in qualsiasi altra condizione che nella situazione attuale impedisce loro sia di rientrare nei propri paesi che di integrarsi attraverso il lavoro, anche a causa dell’abolizione del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

La regolarizzazione non è un’opzione, ma una necessità che non può, tuttavia, essere effettuata sulla base di un permesso avente durata di pochi mesi.

Proponiamo di:

  • Estendere la regolarizzazione anche ad altri settori economici oltre quello agro-alimentare, includendo il settore turistico alberghiero, la ristorazione, la logistica e l’edilizia;
  • Estendere la finestra temporale per presentare la domanda;
  • Permettere che anche gli stranieri in possesso di un titolo di soggiorno regolare (e che magari già consente l’accesso al lavoro come nel caso dei richiedenti asilo) possano ottenere un permesso di soggiorno per lavoro, accedendo al provvedimento di regolarizzazione;
  • Prevedere che il lavoratore straniero regolarizzato possa cambiare mansione e settore di attività e che, in caso di perdita del posto di lavoro possa iscriversi nelle liste di collocamento per il periodo di residua validità del permesso di soggiorno, e comunque per un periodo non inferiore ad un anno. Ciò al fine di permettere alle persone di sottrarsi a condizionamenti derivanti da condizioni di lavoro inique o vessatorie, dare stabilità al lavoratore straniero e favorire una generale mobilità del lavoro.
  • Prevedere il rilascio di un permesso di soggiorno per “ricerca occupazione” valido per tutto il periodo dell’emergenza per chi non ha oggi un lavoro, che  finalmente svincoli la persona straniera da possibili ricatti o dal mercato dei contratti che hanno contraddistinto tutte le pregresse regolarizzazioni.

Il documento integrale è consultabile qui


Regolarizzazione migranti: le nostre proposte.

In questi giorni il Governo sta discutendo al proprio interno la proposta di regolarizzare i cittadini stranieri lavoratori in Italia.

In collaborazione con 250 organizzazioni e professionisti del settore immigrazione e asilo abbiamo realizzato un documento congiunto con una serie di proposte per il legislatore.

Siamo davanti a un’emergenza dalla triplice dimensione: sanitaria, sociale ed economica. Nell’attuale emergenza sanitaria mondiale dove è impossibile il movimento delle persone, anche per il ritorno nei Paesi di origine, per effetto della chiusura dei confini di moltissimi Paesi, è oggi più che mai necessario che il Governo e il Parlamento italiano promuovano una regolarizzazione dei cittadini stranieri presenti in Italia perseguendo due obiettivi oggi imprescindibili: l’emersione dall’invisibilità di migliaia di persone che vivono e/o lavorano nel territorio italiano ed una conseguente migliore tutela della salute personale e pubblica. Lasciare centinaia di migliaia di persone in condizioni di invisibilità, e di forzata indisponibilità ad effettuare uno screening sanitario, potrebbe comportare conseguenze disastrose per l’intera società, che vanno impedite adottando, come prima misura urgente, quella di consentire l’accesso al sistema sanitario, attraverso la regolarizzazione della loro presenza sul territorio.

Non bisogna dimenticare che la maggior parte dei migranti lavoratori irregolari sono sottoposti a lavoro paraschiavistico e al caporalato. Regolarizzarli darebbe loro la possibilità di svincolarsi dallo sfruttamento. Inoltre, se a questa misura si aggiungesse la possibilità di un permesso per ricerca lavoro o attesa occupazione, valido per tutto il periodo dell’emergenza per chi non ha oggi un lavoro, renderebbe regolari gran parte di quanti sono stati espulsi dal sistema di accoglienza, sono in attesa del riconoscimento della protezione (denegati ma ricorrenti), o sono in qualsiasi altra condizione che nella situazione attuale impedisce loro sia di rientrare nei propri paesi che di integrarsi attraverso il lavoro, anche a causa dell’abolizione del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

La regolarizzazione non è un’opzione, ma una necessità che non può, tuttavia, essere effettuata sulla base di un permesso avente durata di pochi mesi.

Proponiamo di:

  • Estendere la regolarizzazione anche ad altri settori economici oltre quello agro-alimentare, includendo il settore turistico alberghiero, la ristorazione, la logistica e l’edilizia;
  • Permettere che anche gli stranieri in possesso di un titolo di soggiorno regolare (e che magari già consente l’accesso al lavoro come nel caso dei richiedenti asilo) possano ottenere un permesso di soggiorno per lavoro, accedendo al provvedimento di regolarizzazione;
  • Prevedere che il lavoratore straniero regolarizzato possa cambiare mansione e settore di attività e che, in caso di perdita del posto di lavoro possa iscriversi nelle liste di collocamento per il periodo di residua validità del permesso di soggiorno, e comunque per un periodo non inferiore ad un anno. Ciò al fine di permettere alle persone di sottrarsi a condizionamenti derivanti da condizioni di lavoro inique o vessatorie, dare stabilità al lavoratore straniero e favorire una generale mobilità del lavoro.
  • Prevedere il rilascio di un permesso di soggiorno per “ricerca occupazione” valido per tutto il periodo dell’emergenza per chi non ha oggi un lavoro, che  finalmente svincoli la persona straniera da possibili ricatti o dal mercato dei contratti che hanno contraddistinto tutte le pregresse regolarizzazioni.

Il documento integrale è consultabile qui


Regolarizzazione a tutela dei diritti di tutti.

Sapere chi c’è in Italia e includerlo nei percorsi sanitari di prevenzione, diagnosi e cura è oggi indispensabile per la salute di tutti.

C'è una società civile coesa nel chiedere  il riconoscimento della dignità alle centinaia di migliaia di persone straniere che, prive di permesso di soggiorno per lavoro o con un documento precario, sono esposte oggi a maggiori rischi di sfruttamento e di emarginazione sociale.  Aderiamo anche noi alla proposta di regolarizzazione dei migranti in Italia ai tempi del COVID-19

Nell’attuale emergenza sanitaria mondiale dove è impossibile il movimento delle persone, anche per il ritorno nei Paesi di origine, per effetto della chiusura dei confini di moltissimi Paesi, è oggi più che mai necessario che il Governo e il Parlamento italiano promuovano una regolarizzazione dei cittadini stranieri presenti in Italia perseguendo due obiettivi oggi imprescindibili: l’emersione dall’invisibilità di migliaia di persone che vivono e/o lavorano nel territorio italiano ed una conseguente migliore tutela della salute personale e pubblica.

“Riteniamo necessario” si legge nella premessa della proposta destinata al Governo e al Parlamento ed in particolare alla Ministra dell’Interno "non limitare la proposta a determinati settori produttivi, che rispondono alla sola esigenza di utilizzo di manodopera ove più forte è lo sfruttamento lavorativo, ma destinare la proposta a tutti/e coloro che vivono in Italia in condizione di irregolarità o di precarietà giuridica e che attraverso il permesso di soggiorno, per lavoro o per attesa occupazione, possono emergere come persone e non solo come manodopera. Soggetti di diritti e non solo braccia per il lavoro”.

Si è ipotizzato non solo l’emersione dal lavoro irregolare o precario ma anche il rilascio di un permesso di soggiorno per “ricerca occupazione”, che  finalmente svincoli la persona straniera da possibili ricatti o dal mercato dei contratti che hanno contraddistinto tutte le pregresse regolarizzazioni.

Leggi la proposta integrale qui.

 

 


Salvare vite è un imperativo, che sia a terra o in mare.

Nelle ultime settimane si sono susseguite notizie di imbarcazioni alla deriva nel Mediterraneo.  A metà aprile, Alarm Phone, il centralino che riceve messaggi di allerta dal Mediterraneo, ha dato la notizia di quattro imbarcazioni in panne con un totale di circa 250 persone a bordo, senza che ci fossero mezzi civili o militari pronti ad aiutarle. Attorno al 20 aprile, un gommone, che si trovava in acque territoriali maltesi, è stato lasciato alla deriva per 5 giorni. Dodici migranti, provenienti per la maggior parte dall'Eritrea, sono morti e 51 respinti verso la Libia.

Il miglioramento delle condizioni meteorologiche ha fatto sì che le partenze dalle coste libiche a bordo d’imbarcazioni precarie riprendessero, ma i mezzi civili di soccorso delle organizzazioni non governative sono quasi tutti fermi, per ragioni di sicurezza legate all’emergenza sanitaria in corso. Mentre i mezzi militari europei presenti in quel tratto di mare non intervengono e ignorano i segnali di allerta. La situazione in Libia continua a peggiorare dal punto di vista della sicurezza, con la ripresa dei combattimenti, tanto da spingere il governo  per la prima a proclamare la Libia “paese non sicuro”.  Considerati il perdurare del conflitto in corso nel Paese, le condizioni disumane in cui rifugiati e richiedenti asilo vengono detenuti in centri sovraffollati e insalubri, anche l’UNHCR ha ribadito che nessuno dovrebbe essere riportato in Libia dopo essere stato soccorso in mare.

Misure come la quarantena e altri i controlli sanitari  possono essere una valida risposta alle legittime preoccupazioni per la salute pubblica. Ritardi nei soccorsi o impedimenti agli sbarchi di imbarcazioni in difficoltà mettono a rischio le vite delle persone. Pur consapevoli del momento complesso che ci troviamo ad affrontare a causa dell'emergenza sanitaria, è importante garantire il rispetto dei principi di solidarietà e soccorso. Anche in tempo di pandemia resta irrinunciabile conciliare il dovere di garantire la salute di tutti a terra con quello di soccorrere chi è in pericolo in mare. Che sia in terra o in acqua, salvare vite umane rimane un imperativo morale, oltre che un obbligo derivante dal diritto internazionale.  È necessario, nell'immediato, adottare procedure rapide per garantire la messa in salvo dei profughi che attraversano il Mediterraneo. Le restrizioni imposte a causa della pandemia dovrebbero essere bilanciate da misure sanitarie, come la quarantena per chi arriva, senza precludere il diritto a chiedere asilo.

 


"L'Italia non è un porto sicuro". La reazione del Tavolo Asilo.

Le Associazioni del Tavolo Asilo Nazionale manifestano la propria preoccupazione per il Decreto Interministeriale emesso lo scorso 7 Aprile 2020 n. 150 in cui il Ministro delle Infrastrutture e Trasporti di concerto con altri Ministri, dichiara che per l’intero periodo dell’emergenza sanitaria nazionale i porti italiani non assicurano i necessari requisiti per la classificazione e definizione di Porto Sicuro (Place of Safety) solo per le navi soccorritrici battenti bandiera straniera che abbiano soccorso esseri umani fuori dalle nostre acque SAR.

La dichiarazione appare inopportuna e non giustificabile in quanto con un atto amministrativo, di natura secondaria, viene sospeso il Diritto Internazionale, di grado superiore, sfuggendo così ai propri doveri inderogabili di soccorso nei confronti di chi è in pericolo di vita.
Si attacca ancora una volta il concetto internazionale di Porto Sicuro, la cui affermazione ha trovato conferma nelle decisioni della nostra Magistratura.

Pur consapevoli del momento complesso che ci troviamo ad affrontare, è importante garantire il rispetto dei principi di solidarietà e di umano soccorso, che non possono essere negati sulla base di tesi opinabili che riguardano la competenza nei soccorsi in mare ed il luogo in cui vadano condotti esseri umani in pericolo di vita.

E’ opportuno sottolineare che il Ministero della Salute attraverso l’USMAF si è già attrezzato per la quarantena delle Navi che hanno soccorso migranti ed ha già disposto delle linee Guida.
Inoltre è essenziale ribadire che l’Autorità preposta ad intervenire nei soccorsi è l’MRCC che riceve per primo la richiesta di coordinamento e non l’Autorità di bandiera.
Le Associazioni del Tavolo Asilo Nazionale ribadiscono che, anche in questo momento difficile per l’Italia, la Libia è un paese in guerra, dove i migranti sono oggetto di torture e schiavitù.

Attualmente la Alan Kurdi è al limite delle nostre acque nazionali in attesa che le venga assegnato un Porto Sicuro dalle nostre Autorità. Le Associazioni del Tavolo Asilo Nazionale chiedono fermamente al Governo italiano di operare senza indugi in tal senso.

A Buon DirittoAcli - Associazioni cristiane lavoratori italiani ActionAid ItaliaAmnesty International - ItaliaArci nazionaleCaritas ItalianaCentro AstalliCIRCoordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza - CNCAAssociazione Comunità Papa Giovanni XXIIIEMERGENCY, Europasilo, FCEI, Casa dei Diritti Sociali - FOCUS - Cosenza, Fondazione Migrantes, Médecins du Monde - Missione ItaliaIntersosOxfam ItaliaSIMM- Società Italiana di Medicina delle Migrazioni


Quando è la solidarietà ad essere contagiosa.

"Anche la solidarietà può essere contagiosa. Che si tratti di migranti, rifugiati o cittadini italiani, non fa differenza".

Lucia Mielli spiega così l’iniziativa da lei promossa, che ha portato diverse associazioni nazionali e marchigiane a mettere insieme le proprie forze per produrre delle mascherine da destinare al personale sanitario di un ospedale COVID-19 di San Benedetto del Tronto e ai migranti delle baraccopoli di Rosarno. Lucia è una infermiera, impegnata in prima linea in questi giorni di emergenza, come tantissimi suoi colleghi. Lucia è anche una ex famiglia ospitante di Refugees Welcome Italia: assieme al suo compagno Francesco, ha ospitato per 9 mese Blessing, una giovane rifugiata nigeriana, all’epoca al nono mese di gravidanza. Un rapporto, quello fra le due donne, che continua ancora oggi: Blessing vive con il suo compagno e la piccola Isabella, a cui Lucia e Francesco fanno da nonni.

"Da quando è scoppiata l'epidemia, le mascherine mancano dappertutto. Per noi sanitari che siamo in prima linea nell’emergenza, ma anche per chi vive in posti come Rosarno, dove il rischio di contrarre il coronavirus si somma ad una situazione abitativa precaria: sovraffollamento, mancanza di acqua e di servizi igenici adeguati”, racconta Lucia.

Quella delle mascherine è l’ultima, in ordine di tempo, delle iniziative di solidarietà messe in campo da Lucia, che a sua volta ha mobilitato diverse persone e associazioni. Una vera e propria macchina di solidarietà che si è messa in moto dal basso. Le prime ad essere coinvolte sono state le Suore Oblate di San Benedetto che gestiscono un progetto di integrazione per ragazze che sono state vittime di tratta. Si chiama Laboratorio di frontiera e produce capi tessili. Le suore, in collaborazione con l’associazione Superfac di Spinetoli, hanno contattato oltre 12 sarte del territorio, che hanno dato la loro disponibilità a cucire gratuitamente le mascherine. Poi è stata la volta del Gruppo Bucciarelli, un laboratorio di analisi, che ha fornito le istruzioni necessarie e i modelli per procedere alla realizzazione delle mascherine e ha dato la disponibilità a realizzare, a titolo gratuito la sterilizzazione delle stesse. Rimaneva il problema della distribuzione, a causa delle limitazioni agli spostamenti imposte dal decreto. Per superare questo ostacolo, è stata coinvolta la ditta Gls, con sede a Monteprandone, che ha assicurato la logistica per la consegna dei dispositivi.

Il risultato è un prodotto innovativo e di qualità: le mascherine, anche se non certificate, hanno una tasca interna per inserire il filtro, inoltre si possono disinfettare e riutilizzare. “È sufficiente un po’ di acqua e candeggina per disinfettarle e poi riutilizzarle, per questo sono adatte per chi vive in situazioni di precarietà”, racconta Lucia.

Delle circa 3 mila mascherine prodotte, 800 sono state distribuite ai migranti di Rosarno, grazie a Mediterranean Hope, mentre le prossime consegne verranno fatte alle forze dell’ordine, agli operatori sanitari del territorio e alle organizzazioni del Terzo settore.