“Nonostante entrambi abbiamo più o meno la stessa età, la mia vita e quella di Diallo, fino ad ora, sono state profondamente diverse. Mentre io andavo a scuola, lui era detenuto in Libia. Ora, invece, facciamo più o meno le stesse cose: condividiamo la camera, prendiamo il bus insieme, giochiamo a calcio, guardiamo le partite in TV. Avergli dato la possibilità di avere finalmente una vita normale, è la cosa più bella di questa esperienza”.
Francesco ha 18 anni, frequenta l’ultimo anno di un istituto superiore in provincia di Mantova, dove vive con la sua numerosa famiglia: la madre Annalisa, il padre Marco, i fratelli Elia, 24 anni, Giacomo 20, e la sorella Linda, 14 anni. Da settembre 2020, le porte della loro casa si sono aperte per accogliere Diallo, un ragazzo di venti anni della Guinea Konakri, con alle spalle un bagaglio che pesa: dentro ci sono la fuga dal suo paese, la detenzione in Libia e il terribile viaggio verso le coste italiane, durante il quale ha rischiato di perdere la vita.
“Ero su un gommone con 140 persone. Ad un certo punto, abbiano iniziato ad imbarcare acqua e la struttura ha ceduto. Molte persone che viaggiavano con me non sapevano nuotare e non ce l’hanno fatta. Io sono uno dei 40 superstiti che sono riusciti a salvarsi, perché, fortunatamente, nel frattempo è arrivata la Guardia Costiera italiana a soccorrerci. Ci hanno portato a Lampedusa e da lì è iniziata la mia seconda vita in Italia”.
Diallo
Il passato, però, affiora spesso nei ricordi che il ragazzo condivide con la famiglia Martini. “Abbiamo intuito che Diallo avesse bisogno di raccontare la sua storia, per quanto dolorosa. Credo che, per lui, sia un modo di alleggerire il peso di quello che ha dovuto affrontare e anche, forse, di esorcizzare la paura”, precisa Annalisa. A soli vent’anni, Diallo ne ha già viste e vissute tante.“Sono stato costretto a lasciare il mio paese a 15 anni, da lì, dopo un viaggio di circa un mese, sono arrivato in Libia. Non avevo idea di quanto la situazione fosse pericolosa ma l’ho capito sulla mia pelle: sono stato detenuto e poi venduto ad una persona che mi ha costretto a lavorare per lui. Sono riuscito a scappare e, per un periodo, mi sono dovuto nascondere per evitare di essere rintracciato dal mio “padrone”. Alla fine, non avevo altra alternativa che tentare il viaggio per l’Europa. Non avrei mai immaginato di dover lasciare la Guinea, figuriamoci l’Africa. Eppure è successo”. Arrivato in Italia, Diallo è stato inizialmente accolto in un centro di seconda accoglienza e, dopo aver ottenuto lo status di rifugiato, per lui è arrivato il momento di lasciare la struttura. Pur avendo un lavoro – il giovane rifugiato fa l’operaio in una fabbrica della zona di Mantova – non era ancora pronto ad iniziare una nuova fase della sua vita da solo. Diallo è un ragazzo socievole, che ha sempre espresso la volontà di stare con gli altri, è aperto alla comunità. Per questo motivo, l’operatore del suo centro gli ha proposto di andare a vivere, temporaneamente, con una famiglia italiana: “Sono figlio unico e ho perso entrambi i miei genitori: sentivo di avere il bisogno di ritrovare un’atmosfera familiare attorno a me. Non avevo paura o timore: ho avuto esperienze positive con tutte le persone italiane che ho conosciuto da quando sono arrivato. Quindi ho detto subito sì”.

Ed è così che Diallo ha incrociato la famiglia Martini, che da tempo rifletteva sulla possibilità di ospitare una persona rifugiata. “La cosa è partita da me”, racconta Annalisa, “Ogni volta che mi capitava di vedere le immagini di migranti in mare che rischiavano la vita per cercare un posto sicuro, pensavo che su quelle barche c’erano esseri umani come me e come i miei figli. Provavo un senso di impotenza da cui è scaturito il bisogno di fare qualcosa di concreto, nel mio piccolo. Ho iniziato a cercare informazioni sull’accoglienza in famiglia e ho trovato Refugees Welcome”. È una cosa che ci ha proposto mia madre”, conferma Elia, “ma poi ci siamo confrontati in famiglia e abbiamo appoggiato la sua decisione. Sono sempre stato favorevole, mi ritengo una persona fortunata e ho visto in questa esperienza un modo per aiutare chi è stato meno fortunato di me”.
I primi incontri tra Diallo, Annalisa, Marco e i loro figli sono avvenuti in un posto pubblico. “Quando li ho incontrati la prima volta sono stato colpito dalla loro allegria: sono una famiglia dove regna l’armonia e in cui ci si sostiene a vicenda. Per me era importante avere la conferma che tutti, anche i ragazzi, fossero d’accordo sul mio arrivo a casa loro. Ero preoccupato di poter essere un elemento di disturbo, ma sono stato rassicurato”, racconta Diallo. Prosegue Annalisa: “Al primo incontro ero curiosa, ma anche fiduciosa di trovare la persona giusta e quando ho visto Diallo ho capito che lo era, perchè è un ragazzo che ha davvero voglia di vivere con una famiglia”. Impressioni positive condivise pure dagli altri: “Anche io sono rimasta colpita positivamente e ho pensato che mi sarebbe piaciuto conoscerlo meglio”, aggiunge Linda.
Fra i ragazzi Martini e Diallo – complice l’età – si è instaurato un rapporto molto confidenziale basato su scherzi reciproci e condivisione, anche degli spazi. “Inizialmente Diallo doveva dormire in una stanza per conto suo, che solitamente usiamo come studio, ma poi alla fine ci ha detto che avrebbe preferito avere compagnia”, dice Annalisa. Così ora dorme assieme ad Elia e a Giacomo. “La mattina per farli alzare è una tragedia” aggiunge ridendo Marco.
“Quando sento Diallo raccontare la sua storia mi rendo conto di quanto sia fortunato a vivere in un paese in cui mi sento al sicuro e dove nessuno mi fa del male. Nascere in un posto, invece che in un altro, influisce su tutto il corso della tua vita”.
Giacomo
L’orario della cena e i fine settimana sono i momenti di maggiore scambio e confronto. Diallo, come tutti gli altri membri della famiglia, ha una giornata intensa: nei giorni feriali si alza alle 6 per prendere, con Francesco, l’autobus che lo porta a lavoro. La sera ci si ritrova tutti assieme per preparare da mangiare, guardare la TV, giocare a carte o ai videogiochi. “Stiamo cercando di coinvolgere Diallo nella cucina, con risultati non molto esaltanti. Per ora si limita a guardare e non si è cimentato in prima persona. In compenso, continua a mettere quintali di maionese ovunque, anche sulla pasta”, commenta ridendo Marco. “La cucina non è il mio forte” conferma il ragazzo.
A causa della situazione sanitaria e delle relative limitazioni, le occasioni di svago e socializzazione all’esterno si sono ridotte al minimo. “A settembre e ad ottobre, quando ancora si poteva circolare liberamente, facevamo tante cose assieme a Diallo: andavano a giocare a pallone, a vedere le partite di calcetto di Francesco, in gita in montagna sull’appennino reggiano o in visita a Verona” ricorda Elia. Ora ci si limita a qualche passeggiata nei dintorni.

“Ci piace passeggiare in campagna col cane: non amavo molto gli animali, ma vivendo qui ho imparato ad apprezzarli” racconta Diallo. La pandemia ha toccato da vicino la famiglia: a dicembre tutti, tranne Francesco, hanno contratto il Covid, per fortuna con sintomi blandi. La circostanza, per quanto spiacevole, ha avuto però dei risvolti positivi. “Stare sempre a casa tutti assieme, ci ha aiutato a conoscere ancora meglio Diallo e a trovare dei modi piacevoli per passare il tempo, come i tornei di carte e di tombola”, ricorda Annalisa. “Io ne ho approfittato anche per studiare per la patente. Mi sto preparando per fare l’esame, ma non è semplicissimo per me”, commenta il giovane rifugiato.
I primi sei mesi di convivenza sono prossimi alla fine, ma la convivenza, per volontà di tutti gli interessati, continuerà per altri sei. “Convivere con una persona diversa da te ti arricchisce, è un bagaglio importante che ti porti dietro e come famiglia stiamo ricevendo tanto. È importante che i nostri figli capiscano che nulla gli è dovuto, che la vita di molte persone nel mondo è piena di difficoltà e che non ci si può voltare dall’altra parte. Bisogna tendere la mano” commentano Annalisa e Marco.