Le drammatiche immagini che non cessano di giungere dall’Afghanistan ci ricordano, ancora una volta, che sono i civili a pagare il prezzo più alto: da fine maggio, circa 250.000 persone sono state costrette a lasciare le loro case, a cui si aggiungono i circa 2,9 milioni di afghani già sfollati nel paese (dati UNHCR).

L’Europa non può rimanere a guardare: continuiamo a seguire con apprensione l’evolversi della situazione in Afghanistan e le decisioni che le istituzioni europee ed italiane prenderanno. Abbiamo, nel frattempo, elaborato alcune proposte che hanno l’obiettivo di alleviare le sofferenze del popolo afghano, all’interno dei confini del Paese, ma anche in Europa.

La prima misura urgente è necessaria è l’attivazione di corridoi umanitari che permettano di evacuare tutte le persone più a rischio: coloro che, negli anni, hanno collaborato con istituzioni, eserciti, media occidentali, ma anche donne, minori, persone anziane, appartenenti a gruppi, comunità, etnie invise al nuovo governo. In questi giorni, l’Italia è riuscita a mettere in sicurezza circa 5000 persone: il ponte aereo da Kabul, organizzato dal ministero della Difesa, proseguirà per tutto agosto per prelevare collaboratori e famigliari di chi ha lavorato con il contingente italiano a Herat. Auspichiamo che il Governo prosegua su questa strada e chiediamo che vengano inserite nelle liste di evacuazione anche i nominativi di cittadini e cittadine afghane che erano in attesa di ricongiungersi con familiari che attualmente vivono in Italia e che ora sono impossibilitati a muoversi. Come associazione convinta del ruolo della società civile nell’accoglienza e nell’inclusione dei rifugiati, siamo disponibili a fare la nostra parte ed auspichiamo un tavolo di concertazione tra istituzioni e società civile per valutare la fattibilità di percorsi di accoglienza familiare per i neo-arrivati.

Chiediamo, inoltre, di facilitare l’accesso alle procedure per richiedere la protezione internazionale a tutti gli afghani e le afghane che arriveranno alle nostre frontiere, in particolare quella con la Slovenia. Auspichiamo, in generale, che sul territorio europeo si  ponga fine ai respingimenti illegittimi verso Paesi che non garantiscono il diritto di asilo e un’adeguata protezione dei diritti umani e all’implementazione di accordi di riammissione finalizzati a trasferire forzatamente i cittadini afghani in Paesi terzi considerati sicuri. Questo vale, in particolare, per la rotta balcanica e per la Grecia, dove è necessario superare il criterio di inammissibilità derivante dal principio del paese terzo sicuro (la Turchia) applicato i cittadini afgani. Nelle isole e nelle città greche ci sono oggi migliaia di afgani e afghane le cui domande, sulla base di questo principio, non potranno nemmeno essere presentate.

Riteniamo inoltre improrogabili alcune azioni a tutela delle persone afghane già presenti sul territorio europeo. Tra il 2008 e il 2020, i paesi europei hanno accolte 310.000 domande di asilo su 600.000 richieste di protezione inoltrate da richiedenti afghani. Questo vuole dire che circa 290.000 afghane e afghani hanno ottenuto un diniego: di questi, circa 70.000 sono già state rimpatriati. Altri 92.000 stanno attendendo l’esito della loro domanda d’asilo proprio in questi mesi. Al momento, quindi, secondo questi dati ISPI, in Europa ci sono almeno 310.000 persone afghane che hanno urgente bisogno di protezione. Circa 60.000 di loro sono donne, quasi la metà delle quali ancora minorenni. Tutti i paesi europei, in queste ultime settimane, hanno ovviamente sospeso le procedure di rimpatrio forzato: una misura necessaria, ma non sufficiente a garantire protezione a chi è costretto a vivere in condizione di irregolarità. Chiediamo ai governi europei di individuare e attivare strumenti di protezione temporanea per le decine di migliaia di afghane e afghani non protetti e già in Europa.

Infine, come recentemente ricordato dall’UNHCR, la maggior parte degli afghani e delle afghane bisognosi di assistenza umanitaria rimarrà all’interno del Paese  – 500 mila sfollati interni da gennaio ad oggi, come precedentemente menzionato  – o si sposterà nei Paesi limitrofi, in particolare in Iran e Pakistan, che già ospitano migliaia di rifugiati e rifugiate afghani. Non possiamo dimenticarci di loro e chiediamo alle istituzioni europee ed italiane di sostenere, in tutti i modi possibili, le organizzazioni umanitarie governative e non impegnate a garantire assistenza alla popolazione sfollata afghana e i paesi confinanti, su cui graverà parte del peso di questa crisi regionale.

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