Quattro anni di accordi con la Libia
A partire dalla firma del controverso Memorandum d’intesa del 2017, gli accordi Italia-Liba intrappolano migliaia di persone in condizioni disumane, senza fermare le morti in mare, finanziando l’adeguamento dei centri di detenzione e il contenimento dei flussi migratori. Da allora il nostro Paese ha speso circa 210 milioni euro per bloccare i migranti, cifra che include il sostegno finanziario e logistico alla cosiddetta alla Guardia Costiera libica, che negli ultimi 4 anni ha intercettato e riportato forzatamente nel Paese almeno 50 mila persone, 12 mila solo nel 2020. Quasi tutti sono stati immediatamente trasferiti nei centri di detenzione ufficiali o in altri luoghi di cattività, dove sono stati trattenuti arbitrariamente e per lunghi periodi di tempo ed esposti al rischio di subire torture e maltrattamenti.
Negli ultimi anni, diverse inchieste giornalistiche e delle Nazioni Unite hanno mostrato come la Libia non possa essere considerata un paese sicuro e come nei centri libici i migranti subiscano violazioni dei loro diritti fondamentali. Le autorità libiche continuano a detenere illegalmente migliaia di persone nei centri amministrati dal Direttorato generale per la lotta alla migrazione illegale, dove vengono sottoposte a sfruttamento, lavoro forzato, tortura e altre violenze, inclusi stupri, spesso allo scopo di estorcere denaro alle famiglie in cambio del loro rilascio. I detenuti nei centri vivono in condizioni disumane, di sovraffollamento e mancanza di cibo, acqua e cure mediche. Il deteriorarsi del conflitto li ha esposti a rischi sempre maggiori: a luglio del 2019, un raid aereo ha colpito un centro di detenzione nei pressi di Tajura, sobborgo di Tripoli, causandola morte di 40 persone. Anche quando sono in libertà, i rifugiati e i migranti restano a rischio costante di uccisioni, rapimenti, rapine, violenze e sfruttamento da parte di milizie armate o bande criminali che godono della più completa impunità. A tutto questo si aggiungono le limitazioni alla libertà di movimento e alle attività economiche imposte dalla pandemia, che hanno avuto un grave impatto su migliaia di rifugiati e migranti, la maggior parte dei quali lavorano a giornata per potersi permettere beni essenziali.
Ribadiamo la nostra contrarietà alla politica di esternalizzazione del controllo delle frontiere e a qualsiasi accordo che finanzi politiche di respingimento e detenzione sulla pelle di essere umani, oggi bloccati in paese in guerra. È sempre più urgente individuare delle soluzioni di medio-lungo periodo per costruire canali sicuri di accesso regolare verso l’Italia e l’Europa.